Cosa vuole davvero Putin? Quando finirà la guerra in Ucraina? Il punto di vista di alcuni esperti, in qualche caso suoi ex collaboratori, e tutte le ipotesi su tempi e obiettivi del conflitto
Nella testa di Vladimir Putin non ci entra nessuno. Ancora prima del 24 febbraio, gli articoli e i saggi che cercavano di decrittare la sua strategia non sempre davano risultati univoci. Ma dopo il fallimento della prima fase dell’Operazione militare speciale, una volta compreso che non esisteva un piano alternativo alla guerra lampo, capire cosa pensa davvero e cosa vuole il presidente russo è diventato ancora più difficile. Quindi ci proviamo con l’aiuto di alcuni esperti, in qualche caso suoi ex collaboratori, che passano in rassegna le ipotesi principali.
L’analisi
Cominciamo con il politologo Stanislav Belkovskij, fondatore e direttore dell’Istituto di Strategia Nazionale, scheggia impazzita del sistema, prima alleato dello scrittore Limonov su posizioni di estrema destra, ora ospite del canale Youtube di Mikhail Khodorkovsky, dopo esserne stato uno dei grandi accusatori al tempo dell’arresto e del processo dell’ex oligarca oggi dissidente.
«Per una volta sono d’accordo con l’intelligence americana: Putin si prepara a un conflitto di lunga durata, magari con una intensità più bassa di quella attuale. Potrebbe anche dichiarare lo stato di guerra, ma certo non la mobilitazione generale. Forse farà ricorso al Bars, le cosiddette Riserve combattenti del Paese, altri centomila uomini da usare nel passaggio dall’offensiva alla difesa nel corridoio terrestre vicino alla Crimea. Inoltre, una Russia ufficialmente in guerra sarebbe un modo radicale di distogliere l’attenzione da problemi economici sempre più gravi. Anzi, per giustificarli».
L’esperto militare
Yurij Fyodorov, uno dei pochi esperti militari indipendenti ancora su piazza, fissa qualche paletto sulla durata del conflitto. «Il presidente è consapevole del fatto che la Russia non è in grado di combattere a lungo perché si esauriscono le risorse umane e la forza viva. Quindi mesi, non anni. Ma non rinuncerà al suo piano di invasione, procedendo per tappe. Prima l’arrivo ai confini amministrativi di Donetsk e Lugansk, poi il corridoio terrestre con la Crimea, poi fino alla Transnistria. La soluzione diplomatica sarà possibile solo dopo il raggiungimento di questi obiettivi. In questo scenario, la variabile indipendente è rappresentata da una eventuale controffensiva ucraina, una volta che i militari di Kiev saranno pronti a usare gli armamenti pesanti ad alta efficienza forniti soprattutto dagli Usa».
«Decide lui»
Gleb Pavlovskij, che fu consigliere del Cremlino e stratega politico di Putin durante i suoi primi due mandati da presidente prima di essere allontanato nel 2011, conosce bene i processi mentali del presidente. «Decide lui, punto. Ha deciso l’invasione contro il parere del suo circolo ristretto, che tentennava, ed è stato come una coltellata alla schiena del sistema sul quale si regge il suo potere. Adesso, per la prima volta deve fronteggiare un suo errore grave. Si trova in un vicolo cieco, che percorrerà fino in fondo. Non c’è altro modo. Sbaglia l’Occidente che spera nell’effetto deterrente delle sanzioni. Quando afferma di voler tritare Zelensky, come riferì nel suo colloquio con Roman Abramovich, dice il vero».
I punti su cui Putin non transige
Concorda sull’ultimo punto anche quella volpe di Serghey Markov, dal 2011 al 2018 consigliere del Cremlino per la politica estera. «Sul bottino territoriale ci sarà una maggiore propensione alla trattativa. Ma fin dal primo momento è stato chiaro che il fine ultimo di Putin è il cambio di regime a Kiev. E su questo non transige. Vuole imporre una nuova narrazione all’interno dell’Ucraina. In un certo senso, questo è il primo conflitto che si combatte per il controllo delle televisioni».
Tutti gli esperti si dicono invece sicuri di quello che Putin non farà. Nessuna guerra totale. Belkovskij ha una tesi. «Per vent’anni, la società russa è stata governata con metodi di demobilitazione, incentivando nei fatti l’abbandono di qualsivoglia interesse o aspirazione comune. In questa situazione, la mobilitazione generale è l’unica cosa che Putin sa di non potersi permettere. La più grande paura del Cremlino è proprio quella di un popolo mobilitato. Perché nessuno può immaginare quale sarebbe la sua risposta».