Fonte: Corriere della Sera
di Antonio Polito
A furia di discutere per anni se centrosinistra andasse scritto con il trattino o senza, i suoi leader sono riusciti a non averne più nessuno. E siccome non è un animale mitologico, non rinascerà come d’incanto dalle sue ceneri
Sui giornali scriviamo ancora «centrosinistra». Di solito per dire che «ha perso», talvolta che «ha tenuto», di recente perfino per annunciarne qui e là la «ripresa». Ma che cosa è il «centrosinistra»? A che cosa ci si riferisce con questo nome? Alle elezioni europee del maggio scorso solo un partito tra tutti quelli riconducibili al centrosinistra ha superato il quorum: il Pd di Zingaretti. Nel centrodestra sono stati tre. Anche alle Europee di cinque anni fa il Pd fu solo, ma allora prese il 40,8 per cento dei voti, mentre oggi ha il 22,7. La vasta e frammentata area elettorale che ruotava nel passato intorno a quel partito è stata dunque prima risucchiata e poi prosciugata. Il risultato è che oggi non c’è più un centrosinistra. Intorno alla guarnigione asserragliata del Pd c’è il deserto dei tartari; e se proprio vogliamo insistere nella metafora del romanzo di Buzzati, i tartari sono le orde leghiste che da un momento all’altro potrebbero dare l’assalto alla Fortezza Bastiani, l’Emilia rossa. Ecco perché anche un buon risultato elettorale del Pd, quale sicuramente è stato scavalcare i Cinquestelle alle Europee, resta sempre una vittoria di Pirro. Non rende più facile fare l’opposizione(grida vendetta il voto favorevole dei parlamentari democratici, in evidente stato confusionale, alla proposta dei mini-Bot); né prefigura una maggioranza di governo, perché in tempi di proporzionale neanche una buona performance del Pd alle prossime elezioni potrebbe rompere la sua solitudine, e anzi rischierebbe di aggravarla.
Ogni ipotesi di schieramento alternativo al populismo e alla destra soffre infatti della scomparsa nel nostro Paese, o del ridimensionamento fino all’irrilevanza, di tre grandi culture politiche che nel passato italiano e nel presente europeo hanno svolto e svolgono invece un importante ruolo di tessuto connettivo del sistema: l’ambientalismo, il liberalismo e il solidarismo cattolico.
Le prime due sono state le protagoniste delle ultime elezioni in Francia e in Germania, compensando la crisi della sinistra politica e facendo da cuscinetto all’avanzata delle destre anti-sistema. Da noi, invece, i Verdi hanno ottenuto il 2,3% e la lista +Europa, iscritta al gruppo liberale europeo, il 3,1%. Risultati che ne fanno partiti di testimonianza, magari pronti a riscuotere un po’ di collegi uninominali quando si andrà alle urne per le elezioni generali, ma troppo flebili per poter dare un contributo di idee e di leadership nuove alla costruzione di uno schieramento competitivo. Le ragioni sono molteplici, e spesso storiche. Ma tra di queste c’è anche l’imperialismo che il Pd ha praticato nel passato nei loro confronti, e che ora gli si ritorce contro. Al punto che c’è chi ipotizza, come Calenda, di concepire «in vitro» quella forza liberal-europeista che non c’è, per non lasciare troppo solo il Pd (con maligna efficacia, Renzi ha ricordato al suo ex ministro che per fondare un partito di solito non si chiede il permesso a quello di provenienza).
L’altra cultura politica il cui apporto manca sempre più al centrosinistra, e a dire il vero all’intero dibattito pubblico del nostro Paese, è quella del cattolicesimo, della parte cioè del mondo cristiano che si impegna nella vita civile con l’obiettivo del bene comune. Un’area che, pur continuando ad avere nel volontariato, nei movimenti cristiani, nel sindacalismo, una presenza radicata e trascinante, ha smesso di far politica, forse bruciata dalle troppe delusioni del passato.
L’assenza dalla scena pubblica di queste tre grandi culture, della loro elaborazione intellettuale e della loro spinta ideale, rispecchia anche la fragilità e l’arretratezza del tessuto sociale della Nazione, la debolezza di ceti che potrebbero invece guidare l’opinione pubblica nei momenti cruciali. Un Paese «invecchiato» come il nostro, pensa infatti a consumare risorse e perde interesse nella questione ambientale, che riguarda il futuro e dunque di solito mobilita i giovani. Un Paese sempre più corporativo, che cerca nel «particulare» la via d’uscita a una crisi che sembra non finire mai, è indifferente se non ostile a ogni anelito di riforma liberale dell’economia. Infine un Paese incattivito, perennemente in cerca di capri espiatori, si chiude inevitabilmente allo spirito solidaristico delle tante esperienze cattoliche, che ormai anche la sinistra politica sembra ignorare, pur lavandosi ogni tanto la coscienza con un gridolino di ammirazione per papa Bergoglio.
A furia di discutere per anni se centrosinistra andasse scritto con il trattino o senza, i suoi leader sono riusciti a non averne più nessuno. E siccome non è un animale mitologico, non rinascerà come d’incanto dalle sue ceneri. Il Pd non basta. Qualcun altro ci deve mettere mano.