22 Novembre 2024
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Il futuro sostenibile si sta delineando, ma occorre che l’Italia superi la sua ambivalenza di fronte alla tecnologia e alla scienza

La tecnologia è lo strumento per la transizione energetica ed ecologica. (Più in generale, la tecnologia è lo strumento per rendere la vita umana meno difficile; per ridurre la povertà, la fatica, il dolore e le diseguaglianze tra le persone; per dare cibo, mobilità, salute, relazioni sociali a quanta più umanità possibile; per avere un ambiente salubre e ridurre l’impatto sull’habitat; e così via).
Mentre nelle stagioni precedenti la rotta era chiara — il carbone nell’800, il petrolio nel ’900 — nel ventunesimo secolo il futuro delle tecnologie energetiche non è ancora delineato in modo definito e i neuroni di scienziati, tecnologi e tecnici tentano in contemporanea mille strade differenti. L’idrogeno, le diverse tecnologie nucleari, le modalità di accumulo dell’energia, i nuovi materiali e così via. Nell’orchestra energetica sono ancora dominanti le fonti fossili ma molti altri strumenti cercano l’assolo.
L’Italia è il Paese di quelli che scrutano preoccupati le scie di condensazione degli aerei, nel timore di chissà quali misteriose irrorazioni, e al tempo stesso è il Paese in cui più di 2mila anni fa il siracusano Archimede creò gli specchi ustori (il solare termodinamico di allora) e stabilì che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta eccetera.
Il Paese in cui ci sono persone che vedono catastrofi planetarie con i telefonini 5G e in cui Galileo Galilei studiava i moti dei gravi e scopriva astri. L’Italia è il Paese in cui ci sono persone sicure di un complotto con il vaccino di grafene per controllare i nostri pensieri, e al tempo stesso è il Paese che ha dato ad Albert Einstein il periodo più spensierato e felice della vita: era un geniale e turbolento ginnasiale quando, adolescente, abitava a Milano in via Bigli dove si era trasferita la famiglia; il padre Hermann Einstein in via Lecchi 16, zona Navigli, aveva avviato l’opificio Elektrotechnische Fabrik J. Einstein & Cie. L’Italia è il Paese dei due referendum antiatomici, nel 1987 e nel 2011, ed è il Paese dove le aziende piacentine Tectubi Raccordi e Ibf con le loro tecnologie stanno salvando l’EdF e i 12 reattori nucleari francesi fermati per corrosioni alle condotte degli impianti.
Le due fonti rinnovabili con la crescita più veloce, cioè il fotovoltaico e l’eolico, mostrano ancora i limiti della loro incostanza e del fatto che sono più disponibili dove pare a loro, secondo l’irraggiamento solare e la ventosità, e non dove pare a noi, secondo i luoghi e i momenti in cui servono a noi.
C’è chi progetta fotovoltaico in mezzo ai deserti d’Africa per esportarne l’elettricità in Europa con elettrodotti sottomarini e chi cerca il vento più produttivo in mezzo al mare. Se costa poco produrre con le rinnovabili, costano una fucilata l’incostanza nel tempo e la distanza nello spazio, le quali impongono investimenti ingenti sulle modalità per accumulare nelle ore di produzione ed erogare nei luoghi di consumo l’energia prodotta.
Il mercato dei grandi elettrodotti di lunga distanza così sta correndo, e aziende come l’italiana Prysmian (prima al mondo) devono investire in nuovi stabilimenti e nuovi strumenti di posa per poter seguire la domanda vulcanica di cavi sottomarini che dovranno collegare isole, centrali eoliche in mezzo al mare e continenti. La nuova grande nave posacavi Leonardo Da Vinci è un concentrato di tecnologia che permette alla multinazionale di Milano Bicocca di adagiare con precisione al metro i cavi su fondali inarrivabili nei mari più turbolenti del mondo.
In ottobre il centro ricerche energetiche Cesi di Milano Lambrate e la Techfem hanno raggiunto un accordo per realizzare due progetti per trasportare l’alta tensione in mare con una nuova tecnologia di cavi a corrente alternata: un progetto riguarda la centrale rinnovabile Agnes da realizzare nel mare al largo di Ravenna e l’altro riguarda il collegamento da 200 megawatt tra Malta e la Sicilia.
Altri cercano il litio per poter costruire le batterie di accumulo. Nuovo petrolio, il litio si trova anche in giacimenti liquidi da raggiungere nelle profondità del sottosuolo perforando i pozzi con le trivelle, come i giacimenti di idrocarburi, e in Italia diverse aziende si contendono le profondità minerarie da perforare. Accade per esempio sotto il lago di Bracciano nel Lazio, le cui profondità sono ricche di brine di litio.
Nucleare è una parola tuttofare, e contiene mille tecnologie diverse. Il Governo Meloni, e il nuovo ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, hanno più volte parlato di non escludere questa opzione, ma nella parola-contenitore ci sono tante opzioni nucleari diversissime fra loro per praticabilità e prospettiva.
La sicurezza è la frontiera verso cui va la fissione classica, la tecnologia tradizionale a uranio messa a punto per la prima volta nel 1943 da Enrico Fermi con il reattore Chicago-1. L’umanità è stata scossa dagli incidenti atomici di Three Miles Island (Usa) e Cernòbyl (Urss, oggi Ucraina) e dagli effetti del maremoto di Fukushima che, nel marzo 2011, annegò circa 20mila persone e soffocò la centrale atomica Dai Ichi.
Per questo motivo i tecnologi cercano di costruire reattori che producano meno scorie, che siano meno esposti ad avarie e incidenti, che consumino meno combustibile nucleare ma soprattutto che siano più piccoli e compatti. In Europa stanno cominciando ad avviarsi, fra tentennamenti e ritardi imbarazzanti, i primi reattori Epr e quello di Olkiluoto in Finlandia ha già prodotto chilowattora; se ne costruiscono moltissimi in modo seriale nel resto del mondo in una variante cinese.
Tra i reattori piccoli, i progetti come Smr e il Terrapower si affiancano ai reattori modulari che oggi entrano nella sala macchine delle navi atomiche e dei sottomarini nucleari. Un domani potrebbero avere dimensioni da cofano o da locale caldaia nel seminterrato. I canadesi hanno i reattori Candu (Canadian deuterium uranium) che, moderati a acqua pesante invece che acqua normale, funzionano con uranio normale non arricchito.
Molto interessante come possibilità di sviluppo sembra il gruppo di tecnologie al plutonio formata dai reattori a neutroni veloci, superveloci, autofertilizzanti, come il francese Superphénix che venne chiuso soprattutto per motivi di consenso politico. In Russia il Bn800 a sodio liquido nel settembre 2022 ha cominciato a funzionare con il combustibile Mox. La tecnologia usa plutonio ma può “bruciare” molti tipi di combustibile nucleare, comprese le scorie. Chiede competenze tecnologiche assai evolute e suscita preoccupazione in parte dell’opinione pubblica.
Ci sono altre sfide. Per esempio lo scienziato Roberto Di Salvo sta collaborando negli Usa al progetto del reattore Usnc, cioè Ultra Safe Nuclear, nel quale il combustibile atomico è racchiuso in pastiglie ceramiche e che, asseriscono gli inventori, in caso di problemi si spegne da solo.
Sulla frontiera delle tecnologie miniaturizzabili, già mezzo secolo fa venne costruito un pacemaker cardiaco nucleare, ma dal punto di vista pratico oggi non si scende sotto la taglia dei reattori per sottomarini o per i nuovi rompighiaccio varati in Russia, in genere 4 o 6 reattori compatti per nave. I satelliti non hanno reattori a bordo ma sorgenti di calore, detti Rtg, radioisotope thermal generator, ma èrogano pochissima potenza; per le missioni spaziali oltre Marte saranno indispensabili, dato che da Giove in poi il sole è troppo debole e lontano per dare energia ai pannelli fotovoltaici.
L’energia da fusione nucleare, la stessa che accende il sole e l’altre stelle, è ancora lontana. Ma se ne vede all’orizzonte la sagoma. Le esperienze internazionali condotte per il progetto Iter a Cadarache, alla periferia di Marsiglia, lo Sparc e l’Arc allo studio con il Mit di Boston, il Dtt di Frascati cui lavorano l’Eni e l’Enea mostrano dov’è questa nuova forma di energia nucleare pulita.
Si tratta di far fondere insieme due atomi di minuscolo idrogeno, che si uniscono insieme e si trasformano formano in un più grosso atomo di elio. Ma le temperature sono così smisurate, milioni di gradi, che non esistono materiali capaci di resistere alla reazione senza fondere. Così la reazione del plasma viene tenuta sospesa con la forza magnetica senza che vi sia alcun contatto con le pareti del reattore, che è fatto come una ciambella e viene denominato con l’acronimo russo Tokamak. Serve ancora molto tempo, forse decenni, ma la fusione si raggiungerà di sicuro, anche perché è già stata ottenuta decenni fa su dimensioni piccole e sperimentali.
La diffusione futura della fusione dipende soprattutto dalla capacità di sviluppare componenti meno cari per i Tokamak. Uno dei limiti della fusione è il costo dei materiali necessari per produrre campi magnetici così potenti e stabili che siano capaci di tenere sospeso il plasma. Oggi si usano in genere superconduttori basati su leghe di niobio-titanio o niobio-stagno: sono carissimi, formati da materiali rari, sono difficili da lavorare, sono estremamente delicati e fragili. Perfino il diboruro di magnesio, messo a punto a Ginevra dal Cern diretto dall’italiana Fabiola Gianotti, sembra resistere troppo poco agli scossoni generati dal suo stesso campo magnetico.
Un’altra frontiera, ma questo è esoterismo per fisici affascinati dalla purezza della teoria astratta, è la fusione muonica, cui servono acceleratori speciali di particelle e sperimentazioni consolidate; l’Italia ha proposto un collisore di muoni che il geniale gruppo di fisici attorno a Pantaleo Raimondi pensava di realizzare all’Infn di Frascati.
La frontiera della fusione fredda per ora esiste solo sui titoli dei giornali ma nessuno è ancora riuscito a sfruttarla in modo utile.
Un cenno alle tecnologie dei nuovi idrocarburi non fossili. Le bioraffinerie Eni di Gela e Marghera finalmente da ottobre sono alimentate non più con olio di palma, prodotto contestato dagli ecologisti, bensì con scarti e con materie prime che non competono con le derrate alimentari; a queste prime due raffinerie si aggiungerà anche Livorno. Altre aziende guardano alla sintesi di idrocarburi liquidi o gassosi facendo reagire l’idrogeno insieme con il carbonio della CO2 estratta dall’aria. In Austria una raffineria estrae gli idrocarburi dai rifiuti, a Roma la milanese Nextchem (Maire Tecnimont) ha avviato la progettazione della hydrogen valley per estrarre l’idrogeno dagli scarti.
Questi prodotti combustibili a impatto climatico zero sono frenati dalle normative europee, che badano alla sola emissione della CO2 al tubo di scappamento dei veicoli senza curarsi dell’origine di quell’anidride carbonica, se neutrale per il clima oppure se al contrario fossile. Aprire e incentivare queste ricerche sarebbe un modo veloce per svuotare di carbonio già da oggi il clima del mondo e per riempire subito i serbatoi delle automobili che viaggiano sulle strade. Il clima forse può attendere fino a quando l’auto elettrica non sarà più una rarità.

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