Fonte: La Stampa
di Francesca Sforza
Parla Ferrazzi, consigliera italiana di Macron: partiamo dalla scuola. Non basta studiare, i giovani devono entrare in contatto con opere e artisti
«Se non si vede, sarà un successo». Questo lo spirito con cui è partita, in Francia, la grande offensiva del governo Macron sulla cultura, che sarà annunciata ufficialmente dal presidente a gennaio. Non si punta a iniziative ad effetto ma, nello spirito del discorso della Sorbona, a rivoluzionare il tessuto sociale francese dal basso e ad esportare il modello in tutta l’Unione europea.
A parlarne, in una delle stanze dell’Eliseo, è Claudia Ferrazzi, 40 anni, nata a Bergamo, laureata in Scienze Politiche a Milano, e oggi tra le poche donne appartenenti alla squadra ristretta dei consiglieri di Macron.
«Abbiamo messo a punto un programma in cinque anni per raggiungere l’obiettivo del 100 per cento di ogni generazione messa nelle condizioni di accedere alla cultura del Paese», spiega questa giovane dirigente, che ha conosciuto Macron all’Inspection de Finance tra il 2007 e il 2011 e alle sue spalle ha già la frequentazione dell’Ena, la direzione generale del Louvre e quella di Villa Medici.
Come fare? «Innanzitutto ci siamo interrogati su che cosa non ha funzionato nel passato – dice – e ci siamo resi conto che a fronte di un’offerta di grandissima qualità e anche molto estesa su tutto il territorio, la domanda di cultura restava spaventosamente bassa». Non serve a molto ospitare esposizioni da capogiro, piattaforme multimediali, artisti provenienti da ogni parte del globo, se poi il 60 per cento degli abitanti dichiara di non averli mai visti, e in qualche caso neanche di averne sentito parlare. In particolare sono i ragazzi a essere tagliati fuori: «Abbiamo molta offerta per le famiglie, moltissima per gli adulti, ma per i giovani c’è troppo poco». Di qui l’offensiva: «Il primo pilastro su cui abbiamo deciso di intervenire è la scuola – dice Ferrazzi – dove già da questo anno scolastico sono state inserite delle ore di “pratica artistica”, ed è stata aggiunta una seconda ora di coro, che per il sistema francese è un’autentica rivoluzione». Aria ai programmi, dunque, che dovranno puntare sulla conoscenza diretta delle opere e sul contatto con gli artisti.
Finita la scuola, tutti a casa. «E questo è un altro problema con cui la Francia deve fare i conti: dopo le quattro del pomeriggio per bambini e ragazzi si aprono sterminati pomeriggi davanti alla televisione o ai videogiochi, spesso in solitudine perché i genitori lavorano, beh, ci siamo detti che non è possibile andare avanti così». Eccolo, dunque, il secondo pilastro: riforma del sistema audiovisivo per dare una programmazione che assomigli quasi a un doposcuola; apertura di biblioteche e mediateche comunali fino alla sera tardi e durante il week end (in tutta la Francia ce ne sono circa 17 mila) in modo tale che coinvolgano i più giovani (wi-fi per tutti, tanto per cominciare). «Di qui anche l’ideazione di un “pass-culture”, una sorta di evoluzione dell’App18, che crei il desiderio, la voglia di emancipazione – dice la consigliera di Macron. – È un impegno, quello di uscire dall’elitismo culturale, che la nostra generazione deve assumersi per la generazione che seguirà».
Il terzo pilastro prevede invece massicci investimenti sulla cultura europea, e dunque sulla mobilità: «Vogliamo mettere in movimento le persone e le opere, far ritrovare loro la fisicità del contatto diretto», spiega ancora Ferrazzi con quell’entusiasmo che sembra contagiare chiunque abbia avuto che fare con Emmanuel Macron. «È troppo difficile oggi organizzare e far girare un concerto o uno spettacolo teatrale, così come è assurdo che non ci sia circolazione tra i direttori delle grandi istituzioni europee». E poi la mobilità delle lingue. Il governo Macron immagina una gigantesca operazione di sottotitoli e traduzioni, che siano disponibili per chiunque, su qualsiasi supporto: «Un amico una volta mi mandò una registrazione degli Anni 50 con il Flauto Magico cantato in italiano – ricorda Ferrazzi – quello è l’obiettivo: moltiplicare le possibilità di accesso linguistico a tutti, in ogni lingua». Un esperanto a 27? Forse no, «anzi sulla cultura bisogna avere il coraggio di rinunciare al multilateralismo, noi per esempio vogliamo intrecciare mille bilateralismi». L’Italia è un partner naturale, per coproduzioni, scambi di funzionari culturali, nuovi progetti: «Adesso stiamo mettendo in cantiere un progetto di mobilità sui patrimoni – ci dice raccogliendo le sue carte – dobbiamo solo essere più vicini, sì – aggiunge con un sorriso – più amici».