Da quattro anni due valli, quella di Limone, sopra Cuneo, e quella francese della Roya, sono aggrappate al destino di un tunnel, un cantiere che sembra non finire mai
Pasticcio in alta quota. Prezzi che lievitano come i panettoni a Natale (da 140 a 330 milioni), liti in cantiere tra italiani e francesi, ponti nuovi di zecca che crollano abbattendo quelli vecchi che avevano resistito. Tempi biblici che si allungheranno ancora. Da quattro anni due vallate, quella italiana di Limone Piemonte, sopra Cuneo, e quella francese della Roya, sono aggrappate al destino del Tenda. In attesa che le liti finiscano, i fondi arrivino e un ponte di ferro, oggi giacente in un piazzale di Pordenone (vera icona di una storia da teatro dell’assurdo) salga su un tir e venga finalmente sistemato sulle spalle in cemento che dovrebbero sostenerlo all’uscita della galleria di valico. Perché oggi il tunnel c’è ma finisce nel vuoto, come i personaggi sbadati dei cartoni animati.
La prima idea di ammodernare il Tenda risale al 2009. Oggi compie 15 anni, l’età della prima liceo. All’epoca il ministro competente era Altero Matteoli. A lui sono seguiti Corrado Passera, Maurizio Lupi, Graziano Delrio, Danilo Toninelli, Paola De Micheli, Enrico Giovannini e Matteo Salvini. I lavori dovevano durare dal 2013 al 2020 ma nel 2024 non si vede ancora la fine.
Il 18 dicembre scorso Nicola Prisco, il commissario straordinario dell’opera e il viceministro dei Trasporti, il ligure Edoardo Rixi, promettevano solennemente la fine dei lavori a giugno 2024: “E’ un impegno inderogabile”. Sarebbero stati comunque anni di ritardo ma ormai il traguardo sembrava vicino. La prima galleria, quella nuova a fianco della vecchia, avrebbe dovuto essere pronta nel 2017. L’ammodernamento della seconda era previsto per il 2020. Ma esattamente una settimana prima delle promesse del 18 dicembre, il signor Olivier Torlai, prefetto dalla Paca, la regione francese delle Alpi, aveva scritto a Prisco una lettera che smentiva ogni ottimismo. Accusando gli italiani, l’Anas e la ditta costruttrice Edilmaco, di aver cambiato le carte in tavola modificando arbitrariamente i progetti. Il tono di Torlai è durissimo nei confronti degli italiani che propongono “importanti modifiche incomplete e non giustificate, metodi di realizzazione a dir poco incerti non approvati dalla commissione tecnica che rischiano di degradare le condizioni di sicurezza”. Un quadretto sconfortante. Il preludio alla prossima conferenza dei servizi italo-francese, rinviata tre volte e ora fissata al 28 febbraio. In realtà tutti sanno che il termine di fine lavori verrà fatto slittare, se va bene, a settembre.
Per una complicata serie di traversie storiche la strada che arriva al colle fa lo slalom con il confine: dal versante italiano scende nella valle francese della Roya e a fondo valle supera nuovamente il confine con l’Italia per arrivare a Ventimiglia. E’ una strada molto tortuosa e stretta. Meravigliosa per i turisti, pessima per i tir. Una strada più turistica che logistica. Tanto che nel 2017, per fortuna, si è deciso che in quella valle i grandi camion non possono passare. Ma nonostante il blocco passano al valico (o meglio passavano) un milione di veicoli all’anno. In maggior parte auto dei turisti o furgoncini per il trasporto merci locale.
La galleria è un pertugio a 1.300 metri di quota. Era un miracolo dell’ingegneria quando venne costruita: nel 1882, con i suoi 3.182 metri era la galleria stradale più lunga del mondo. Ma…non c’erano le automobili. Da allora il pertugio è rimasto sostanzialmente lo stesso, largo il giusto per far transitare i carri. Per questo nel 2009 non era parsa peregrina l’idea di raddoppiare la galleria costruendo una canna parallela all’esistente larga 6,5 metri.
Il primo importante stop è del 2017. La procura di Cuneo sequestra il cantiere e manda agli arresti domiciliari 5 persone, tra funzionari Anas e dirigenti della Fincosit, la società costruttrice poi estromessa per gravi inadempienze. Le indagini accertano che la società avrebbe sottratto 100 tonnellate di ferro al cantiere rivendendole sotto banco. “Abbiamo evitato un disastro”, dice la procura. Ma al disastro pensa, almeno in parte, la natura. Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre del 2020 la tempesta Alex abbatte un ponte nuovo sul versante francese facendolo precipitare sul vecchio che aveva resistito ma viene travolto lo stesso. Da quel giorno in Francia la galleria finisce nel baratro. Il problema principale non è più il raddoppio del tunnel (il solo scavo viene terminato nel luglio scorso) ma la strada per collegarlo. I due ponti crollati vengono sostituiti da uno unico in ferro. Ed è qui che si scatena l’ultima rissa. Il progetto originario prevedeva di sostenere le spalle del ponte con 12 pali da 1,2 metri di diametro. Nell’autunno scorso invece gli italiani annunciano che i pali saranno 40 del diametro di 30 centimetri. La motivazione è che la roccia è troppo dura e che gli scavi di diametro più piccolo sono più facili. Tra dicembre ed oggi inizia un vero e proprio braccio di ferro (è proprio il caso di dirlo) tra i due versanti. Quello che scatena l’ira del prefetto francese. E’ delle ultime settimane la scelta di tornare al progetto originario con i pali più grandi. Se andrà tutto bene la strada del colle tornerà percorribile in autunno.
Si poteva evitare tutto questo? Probabilmente si, con ditte oneste e lavori più celeri. Anche se il terreno in quella parte della montagna è pieno di falde e franoso. Si sarebbe potuto fare un tunnel molto più in basso per andare in Francia, com’è progettato da decenni con la galleria autostradale del Mercantour che arriverebbe direttamente a Nizza e in Costa azzurra. Germana Avena, sindaca di Roccavione, pur danneggiata dal blocco dei traffici di questi anni, lo dice chiaramente: “La scelta scellerata di bucare la montagna a 1.400 metri di altezza non l’ho mai condivisa”. Ma è in minoranza. Per lei è facile dirlo: Roccavione è nel fondovalle.