24 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Federico Fubini

In uno dei suoi libri cita Enrico Berlinguer: «Una società più austera può essere anche più giusta»


Se c’è un passaggio su tutti al quale Carlo Cottarelli ha legato il suo nome al Fondo monetario internazionale, forse è arrivato nel 2010. In quel momento le prime economie europee, dalla Grecia all’Irlanda, iniziavano a essere prese nella morsa della crisi del debito e l’Fmi era appena stato coinvolto nel primo salvataggio di Atene. Lui, Cottarelli, un economista di Cremona con un passato alla Banca d’Italia e una passione per il calcio, in quel momento occupava un ruolo nevralgico per la stabilità del sistema finanziario internazionale: direttore del dipartimento delle politiche di bilancio del Fmi. Il suo staff prendeva alcune delle decisioni vitali dalle quali passava il salvataggio dell’Irlanda, del Portogallo, dell’Ungheria o dei Paesi baltici.

Il mancato rimborso di 250 miliardi
All’epoca nell’Fmi divampava uno scontro attorno a un dilemma di fondo: bisogna guidare i Paesi in crisi verso un default, cioè un mancato rimborso del loro debito pubblico? Era la domanda da cui dipendeva il destino dell’Europa e, implicitamente, anche dell’Italia. In quel momento Cottarelli, oggi premier in pectore «neutrale», prende posizione in maniera decisa. Lo fa pubblicando uno studio con Lorenzo Forni, Jan Gottschalk e Paolo Mauro, il cui titolo dice tutto: «Default nelle economie avanzate: non necessario, non desiderabile e improbabile». Per l’uomo, che oggi ha 63 anni, quello è un punto fermo da tempo. Ma neanche lui poteva immaginare allora che la sua idea sarebbe stata il contrario esatto dell’ipotesi — contenuta nella prima versione del «contratto» M5S-Lega — del mancato rimborso di 250 miliardi di debito italiano comprati dalla Banca d’Italia per conto della Banca centrale europea. Quell’ipotesi e l’insistenza per il ministero dell’Economia sul nome di Paolo Savona, che propone di ristrutturare il debito, hanno contribuito a destabilizzare i mercati italiani.

Mantenere la rotta
Cottarelli la pensava e la pensa in modo opposto da Savona: «Il default non è nell’interesse dei cittadini», scrive già nel 2010, perché la destabilizzazione che può produrre continuerebbe a pesare sullo Stato, sulle tasse e sul potere d’acquisto delle persone. Per il premier incaricato, non esistono scorciatoie. Si tratta piuttosto di mantenere la rotta di un robusto surplus nei conti prima di pagare gli interessi sul debito. Oggi quell’avanzo «primario» è già all’1,9% del prodotto lordo — da un quarto di secolo uno dei più alti d’Europa — ma Cottarelli ha ripetuto spesso che dovrebbe aumentare un po’ se si vuole che il debito scenda. Quella sì che, per lui, sarebbe la priorità. In un’intervista a Pagina 99 di un paio di anni fa aveva già chiarito che il vero recupero di sovranità nazionale è quello: lo manda in bestia l’idea che dei trader ragazzini a New York o a Londra possano svegliarsi e decidere di attaccare l’Italia, solo perché non noi riusciamo a ridurre il debito. In uno dei suoi libri, Il macigno, è arrivato a ricordare in proposito una frase di Enrico Berlinguer che dovrebbe piacere ai 5 Stelle: «Una società più austera può essere anche una società più giusta».

Mercato destabilizzato
Inutile a dirsi, però, Cottarelli difficilmente potrà attuare le sue idee. Sarà un presidente del Consiglio senza fiducia e senza lo spazio politico per far passare una manovra. Resta allora da capire perché il presidente Sergio Mattarella abbia affidato l’incarico a lui e non, per esempio, a una personalità emersa dalla Corte costituzionale. La risposta è probabilmente nel percorso che attende il Paese fino al voto. Se le elezioni somigliano sempre di più a un referendum sull’euro, il mercato può esserne profondamente destabilizzato. Pochi vogliono farsi trovare esposti sull’Italia, se davvero vincessero gli anti-euro. Ieri lo si è visto: rendimenti così alti sui titoli di Stato a dieci anni non si vedevano dall’estate del 2014; soprattutto, le scadenze brevi terremotate, perché l’incertezza riguarda eventi imminenti come il prossimo voto. La scelta di Cottarelli in fondo serve soprattutto a questo: avere mani sicure sul timone in una traversata dei mercati che si annuncia dura. Certezze non ci sono, ma sembra difficile oggi che il governo perda l’accesso al mercato prima di arrivare alle elezioni. Investitori in debito pubblico continueranno a esserci, benché a costi più alti per lo Stato. Il calendario del debito da emettere non è pesante, anche perché il Tesoro aveva fatto molto pre-finanziamento prima del 4 marzo. Aveva accumulato riserve in caso di tempesta. Cottarelli è una garanzia in più che l’Italia è in grado di affrontarla.

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