Fonte: Corriere della Sera
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
Il 30 novembre i 23.671 neolaureati in Medicina candidati per entrare in specialità sapranno chi è riuscito ad aggiudicarsi i 14.980 contratti di formazione finanziati dal Governo (e in parte minoritaria anche da Regioni ed enti privati). Il 30 dicembre i nuovi specializzandi inizieranno i corsi che dopo 4-5 anni li porteranno ad essere cardiologi, neurologi, ginecologi, virologi, ecc. Quest’anno il numero di contratti di formazione è decisamente più alto rispetto all’anno precedente: più +75%. In crescita soprattutto le specializzazioni di cui l’emergenza Covid ha mostrato la carenza. Medicina d’emergenza passa da 458 a 975 contratti di formazione (+113%), anestesisti da 929 a 1.697 (+83%), Malattie infettive da 104 a 344 (+231%), microbiologi da 25 a 122 (+ 388%), Patologia clinica, cioè medici di laboratorio, da 86 a 226 (+ 163%), e medici statistici da 3 a 29 (più 867%).
Come abbiamo detto quest’esercito di medici sarà formato fra 4 0 5 anni, e quindi potrà fare ben poco in un momento così drammatico. Il dato di fatto è che i 115 mila medici al lavoro nelle corsie degli ospedali, che già erano già insufficienti negli anni scorsi, ora non riescono più a coprire i turni, perciò hanno dovuto richiamare in servizio i pensionati, ed è stata necessaria una definizione di nuove norme per l’emergenza Covid, che consenta già oggi di assumere gli specializzandi a cui mancano ancora due anni per terminare gli studi. Ma perché mancano specialisti?
L’allarme inascoltato
La pandemia ha travolto corsie d’ospedale già sguarnite. Per capirlo bisogna fare un passo indietro. È il 2011 quando l’Anaao, l’associazione di categoria che rappresenta i dirigenti medici e sanitari, lancia l’allarme rosso sulla mancanza di specialisti con un documento che purtroppo oggi si sta rivelando profetico: nel 2021 – è la previsione – mancheranno 30 mila medici ospedalieri. Il conto è presto fatto, anche se per forza di cose si tratta di stime: i medici in quel momento stanno scegliendo di andare in pensione a 62 anni di età e con 37 anni di anzianità. In base ai dati della Cassa pensioni sanitari Inpdap dal 2012 al 2021 avrebbero acquisito il titolo per andare in pensione 61.300 medici del sistema sanitario nazionale, cioè i nati tra il 1950 e il 1959. Facciamo due conti: con le borse di studio ferme a cinquemila l’anno, e considerando che poi solo il 75% dei neo-specialisti resta nel SSN (gli altri scelgono la strada della libera professione, del privato convenzionato, la carriera universitaria o quella di ricercatori), significa immettere una forza lavoro di 35 mila nuovi specialisti in 10 anni (3.500 l’anno), ossia poco più della metà dei possibili pensionandi.
L’andamento dei contratti di formazione
Una volta avvisati, coloro che negli anni si sono succeduti al governo, e soprattutto ai Ministeri della Salute e dell’Istruzione, hanno aumentato i contratti di formazione in modo da programmare gli ingressi in base alle possibili uscite? No. Fino al 2012 si rimane stabili sui cinquemila contratti di formazione. Nel 2013, con la Finanziaria del governo Monti del dicembre 2012 (anno della spending review), i posti addirittura scendono a 4.844 (- 3%). La diminuzione dei contratti di formazione va di pari passo con il taglio dei posti-letto: da 4,2 posti-letto ogni mille abitanti nel 2000 a 2,8 posti-letto nel 2013. Oggi nel nostro Paese sono 3,2 contro una media Ue di 4,7; il record è del Giappone che di posti letto per mille abitanti ne ha 13,1, seguito dalla Corea del Sud e dalla Germania con 8.
Dal 2014 i contratti di formazione iniziano a salire: 5.748, che diventano 6.940 nel 2016, poi 7.078 nel 2018, e 8.583 lo scorso anno. Il loro finanziamento più che raddoppia, passando da poco più di 627 milioni di euro nel 2014 a oltre 1 miliardo nel 2019, per un incremento del totale di borse di studio del 59%. Ancora una volta gli ingressi non sono programmati in base alle possibili uscite. La domanda si ripropone: ma, allora, perché oggi gli specialisti non bastano? In quegli anni in contemporanea cambiano le regole pensionistiche. Con la riforma Fornero del 2012 si va in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi per i maschi, e 41 e 10 mesi per le donne. Tra pensione di anzianità (anticipata) e di «vecchiaia» escono mediamente dal sistema coloro che compiono i 65 anni. Vuol dire che nel 2015 escono i nati nel 1950, nel 2018 quelli del 1953, ecc. Ancora una volta gli ingressi non sono programmati in base alle possibili uscite.
Il saldo negativo tra pensionati e nuovi specialisti
Vediamo cosa è successo negli ultimi sei anni, ricordando sempre che un medico neolaureato che entra nella scuola di specialità sarà formato 4-5 anni dopo. Incrociando i dati dei prevedibili pensionati dal 2015 ad oggi, con il numero di specializzandi pronti nello stesso anno a prendere il loro posto, il risultato è questo: pensionabili 37.800, a fronte di 24.752 specializzati pronti per entrare nel SSN. La stima di quanti medici in meno sono stati formati rispetto a chi è andato in pensione è di 13.048.
A questa cifra bisogna aggiungere il numero di contratti di formazione che vengono persi per abbandono: più o meno 500 ogni anno. Se oggi non si trovano i medici di cui ci sarebbe bisogno, altro non è che la conseguenza della programmazione sbagliata di quegli anni.
Il blocco del turnover
Possibile che in questi anni i tecnici dei Ministeri e dei governi non siano stati capaci di fare i conti e un minimo di previsione fra chi entra e chi esce? In realtà i conti li hanno fatti benissimo, e l’obiettivo è stato quello di mirare al risparmio nell’immediato. Infatti il costo per lo Stato nella formazione di ogni singolo specializzando è un investimento sul futuro, e va da 102 a 128 mila euro, ma pesa sui bilanci del momento. E allora si è scelto di scaricare su chi viene dopo la carenza di personale. Tutto questo va di pari passo con i tagli: il turnover in Sanità viene bloccato dal 2005 (art. 1 comma 198), con il governo Berlusconi 2, Prodi 2, Berlusconi 3, Monti, Letta, Renzi. Solo nel 2019, con il provvedimento voluto dal ministro Giulia Grillo, è stato possibile sbloccare il vincolo di spesa, ancora legato a un tetto fisso, pari al budget del 2004 meno l’1,4%.
Scelte controsenso
Il numero dei contratti di formazione finanziati dal Governo si è orientato al ribasso anche rispetto al numero di neolaureati in Medicina. È quello che in gergo tecnico viene definito «imbuto formativo», ovvero la differenza tra il totale dei laureati e i posti disponibili nei corsi di formazione post-laurea (specialità più corsi di formazione per medici di medicina generale). Negli ultimi dieci anni sono rimasti esclusi 11.652 neolaureati, e la beffa è che oltre a mortificare la loro professionalità, rientrano comunque nei conteggi del numero di medici che portano l’Italia ad avere 4 medici ogni mille abitanti al di sopra della media dell’Unione che è di 3,5.
La buona notizia è che oggi i contratti di formazione sono in aumento, ma paradossalmente i nuovi specialisti saranno pronti nel 2024-2025, quando il numero di pensionati in uscita è destinato a scendere. Intanto oggi, nel pieno della pandemia, siamo costretti a richiamare i «soggetti fragili», facendo appello alla loro compassione e buon cuore.