Fonte: Corriere della Sera
di Giovanni Bianconi
La sezione disciplinare sarà raddoppiata per accelerare i tempi dei procedimenti. Le novità sono contenute nella proposta che la Commissione per la riforma del Consiglio superiore della magistratura ha appena consegnato al ministro Guardasigilli Orlando
Parità di genere per garantire un’adeguata presenza delle donne e doppio turno (con il primo aperto a tutti, senza vincoli di liste) per ridurre il peso delle correnti organizzate. Sono le due principali novità contenute nella proposta che la Commissione per la riforma del Consiglio superiore della magistratura ha appena consegnato al ministro Guardasigilli Andrea Orlando. Il quale dovrà ora decidere quali suggerimenti tradurre in un disegno di legge per provare a realizzare uno dei punti qualificanti del programma governativo sulla giustizia: la modifica dell’organo di autogoverno dei giudici.
Ruolo del Consiglio
Il gruppo di studio insediato sei mesi fa, presieduto dall’ex magistrato ed ex ministro Luigi Scotti e composto da giudici, professori e avvocati, ha tratto le sue conclusioni dopo aver esaminato molte istanze e ascoltato le diverse componenti interessate: dall’Associazione magistrati al Consiglio nazionale forense, fino all’Associazione dei costituzionalisti. Arrivando a sottolineare una caratteristica di fondo del Csm: chiamato non solo a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ma anche a contribuire al buon funzionamento della giustizia, attraverso un’adeguata amministrazione del corpo giudiziario; dalle nomine negli incarichi direttivi alle sanzioni disciplinari, e via via tutti gli altri compiti. Il punto più delicato e rilevante resta il sistema elettorale dei 16 componenti togati, che attualmente prevede la competizione tra liste in rappresentanza delle varie correnti, che a loro volta ricalcano più o meno gli schieramenti politici: destra, centro, sinistra e sedicenti indipendenti.
L’argine alle liste
Di qui un autogoverno che di fatto è in mano ai gruppi organizzati, e che la riforma vorrebbe limitare. L’ipotesi del sorteggio dei candidati (vista con favore da una parte della politica e di magistrati fuori dalle correnti) è stata scartata per sospetta incostituzionalità; l’articolo 104 della Costituzione parla infatti di «magistrati eletti», formulazione che parrebbe escludere, anche nella scelta originaria dei concorrenti, l’estrazione a sorte. Il sistema proposto prevede invece un doppio turno di votazioni. Al primo si potranno presentare tutti i magistrati, senza liste o sigle di appartenenza, anche singolarmente; in questa ampia platea i magistrati saranno chiamati a selezionare, attraverso il voto, un numero di candidati quadruplo rispetto ai 16 posti in palio; 64 togati divisi per ruolo e distribuiti come i posti da assegnare: 8 magistrati di Cassazione per 2 seggi, 16 pubblici ministeri per 4 seggi e 40 giudici per 10 seggi. Solo dopo, i candidati eletti potranno riunirsi per correnti o liste distinte, sulla base di programmi elettorali e organizzativi, in modo da dare voce e riconoscibilità ai diversi orientamenti culturali (e politici) presenti in magistratura. La parità fra uomini e donne nell’organo di autogoverno (oggi pressoché inesistente: una sola magistrata siede a Palazzo dei marescialli) viene auspicata dal momento che ormai la metà o più delle toghe italiane è femmina. Per realizzarla il meccanismo elettorale proposto prevede la doppia preferenza vincolata: se si scelgono due nomi, è obbligatorio votare un uomo e una donna. Inoltre, se la parità fra candidati non emergesse dalle urne al primo turno, si andrebbero a pescare altre donne fra le più votate nella graduatoria dei non eletti, aggiungendole fino a raggiungere la metà dei posti da ricoprire (almeno 32).
Sezione disciplinare
Sempre per depotenziare il peso delle correnti, è prevista la possibilità del voto differenziato fra le liste nelle tre diverse categorie di candidati (Cassazione, pm e giudici). Quanto alla eleggibilità, i magistrati che lavorano al Csm nei diversi ruoli «di supporto» (dal segretario generale in giù) non potranno partecipare alla competizione per la consiliatura successiva, così come sarà escluso (sempre per un «giro») chi ha ricoperto incarichi politici fuori ruolo, elettivo o meno: nel governo, in Parlamento o negli enti locali. Suggeriti anche meccanismi per rendere più rapide le procedure per le nomine e scoraggiare quelle «a pacchetto», spartite fra le correnti. Il tutto per dare vita a un organo di autogoverno che garantisca «più carriera per merito e non per “appartenenza”», secondo lo slogan ideato da Matteo Renzi quando annunciò di voler mettere mano alla riforma. Per il settore disciplinare il premier ne aveva lanciato un altro: «chi giudica non nomina, chi nomina non giudica», ma la commissione Scotti non l’ha seguito. Escludere dalla Sezione che sanziona gli illeciti dei magistrati coloro che partecipano alle nomine (praticamente tutti i consiglieri, attraverso il plenum) sarebbe impossibile, a meno di istituire una commissione dedicata solo a quello. La controproposta è di istituire, in luogo dell’attuale Sezione composta da 6 componenti (2 laici e 4 togati) due Sezioni da 3 (1 laico e due togati), in modo da velocizzare i lavori. In casi di eventuali incompatibilità o conflitti d’interesse, sarà sempre possibile l’astensione del giudice disciplinare, o la ricusazione da parte dell’incolpato.