
Il piano sulle liste d’attesa rischia di affondare senza mai davvero essere partito a causa di un scontro clamoroso tra il ministero e i governatori
Dopo 300 giorni dal varo il piano sulle liste d’attesa rischia di affondare senza mai davvero essere partito e con lui le speranze di milioni di italiani costretti spesso a lunghe code per visite ed esami con la beffa che più di un’Asl su quattro, come hanno scoperto da poco i Nas, lascia i pazienti in liste di galleggiamento o peggio rifiuta le prenotazioni chiudendo le agende. A contribuire al naufragio del piano è un clamoroso scontro tra il ministro della Salute Orazio Schillaci e le Regioni condito negli ultimi giorni da lettere di fuoco e accuse reciproche: il ministro punta il dito contro diversi Governatori colpevoli di non applicare le misure del decreto varato il 7 giugno e di ritardare con una lunga melina l’approvazione dei provvedimenti attuativi. E così slitta la partenza della Piattaforma nazionale sulle liste d’attesa prevista inizialmente per febbraio e resta al palo il decreto sui poteri sostitutivi che scattano in caso di inadempienze a dimostrazione del fatto che le Regioni vivono il piano come un’invasione, perché la Sanità – dopo la riforma del Titolo V – è fortemente regionalizzata e “allergica” a ogni intervento di Roma.
I mugugni dei governatori riguardano invece i pochi fondi stanziati e la riforma dei medici di famiglia che darebbe una mano al taglio delle liste d’attesa e il cui stallo è addossato al ministro. A pagarne le spese sono i pazienti come dimostrano gli ultimi clamorosi casi di cronaca: dai risultati istologici in ritardo anche di 8 mesi dell’Asp di Trapani all’appuntamento al 2027 per una risonanza dell’ex operario dell’Ilva di Taranto con due focolai tumorali. Uno scandalo confermato dai dati raccolti da Cittadinanzattiva per il Sole 24 ore su 4 prestazioni che mostrano come anche per le cure più urgenti, quelle per i pazienti più gravi, si superino i tempi massimi.
Il braccio di ferro con le Regioni
«Incomprensibile caos organizzativo» e «fallimento del modello regionale di gestione della sanità»: così Schillaci prima in una lettera infuocata al presidente delle Regioni Massimiliano Fedriga e poi in un tesissimo question time al Senato nei giorni scorsi ha definito la gestione delle liste d’attesa. I Nas hanno scoperto nel 27% delle Asl «gravi irregolarità» e «casi indegni» come ha ricordato Schillaci che ha perso la pazienza soprattutto perché non vengono applicate misure previste dal decreto e subito applicabili: dal “salta-coda” per i pazienti (se la lista è lunga il Cup deve trovare il posto in intramoenia o nel privato senza far pagare il cittadino) ai Cup unici a livello regionale attivati per ora in 14 Regioni ma spesso ancora incapaci di mettere insieme tutta l’offerta di cure sia pubbliche che del privato accreditato, come a esempio ha fatto il Lazio con primi visibili benefici. Infine la possibilità di aprire gli ambulatori per visite ed esami anche nel week end, strada per ora imboccata in pieno solo dal Piemonte. Ma il muro contro muro è soprattutto sui decreti attuativi: se la Piattaforma nazionale che dovrà monitorare le liste d’attesa Asl per Asl se tutto va bene vedrà la luce questa estate (le Regioni hanno chiesto uno stanziamento di circa 30 milioni) lo scontro è sul decreto che deve definire i poteri sostitutivi nel caso ci siano gravi irregolarità: dopo 5 mesi di tira e molla sul testo il provvedimento è ancora fermo.
L’allarme sulle cure urgenti
L’indagine realizzata da Cittadinanzattiva raccogliendo gli ultimi dati dai siti web regionali e delle Asl su 8 Regioni mostra come dalle cure urgenti a quelle programmabili buona parte delle strutture sanitarie non rispetta i tempi massimi previsti per quattro prestazioni (visita cardiologica, ecografia all’addome, mammografia e tac rachide dorsale) e si tratta tra l’altro di numeri, quelli pubblicati per obbligo di legge, non sempre “veritieri” (soprattutto se il tempo di attesa non si calcola dal primo contatto telefonico) visto il caso sorprendente della Calabria che avrebbe addirittura azzerato le attese. Quello che preoccupa è soprattutto lo sforamento dei tempi massimi per le cure urgenti che a volte possono essere dei salva vita. Dalla fotografia limitata (si veda grafico) emerge a esempio gli allarmanti tempi medi di attesa della Puglia: qui per una visita cardiologica urgentissima (entro 72 ore) si attende in media 34 giorni e 83 giorni per quelle urgenti (entro 10 giorni), per una ecografia all’addome urgentissima 20 giorni e 40 per quella urgente o 34 giorni per una mammografia urgente e 30 giorni per una Tac della rachide dorsale (quella dell’ex operaio dell’Ilva). Segnali d’allarme che fanno dire alla segretaria di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino che per far funzionare le misure anti liste d’attesa serve una «fattiva collaborazione tra tutti i soggetti istituzionali coinvolti, senza rimpalli di responsabilità ma in un’ottica di piena e totale collaborazione nel solo interesse di cittadine e cittadini. In particolare chiediamo – aggiunge – che il tema delle risorse non sia usato per giustificare ritardi o peggio ancora immobilismo, visto che nel recente passato sulle liste d’attesa sono stati stanziati fondi solo parzialmente utilizzati, ma anche che i miglioramenti dichiarati per alcune Regioni siano corredati da dati e oggetto di verifica». «Dalla nostra campagna #Stopattese, emergono – conclude Mandorino – ancora tantissime difficoltà dei cittadini ad accedere ad alcune prestazioni, anche urgenti, ma, allo stesso tempo, constatiamo che, dopo l’invio dei nostri moduli per l’attivazione dei percorsi di tutela, molte situazioni si risolvono; segno che le lunghe attese in molti casi sembrerebbero superabili con una migliore organizzazione».