19 Settembre 2024
Massimo dAlema 1

Massimo dAlema 1

Il tentativo di riprendere in mano la «cabina di comando» per spostare a sinistra l’asse del partito e rilanciare l’alleanza con il M5s. Ma Petruccioli avverte: da buon giocatore l’ex premier ha sempre due opzioni

Del perché una parte del Pd, impersonata dalla candidata Elly Schlein, sia favorevole al rientro dei dalemian-bersaniani di Articolo 1 e dei suoi leader (di fatto se non di diritto) Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani dopo la scissione anti-Renzi del 2017 è presto detto: far virare il Pd a sinistra, aprendolo all’abbraccio con il M5s di Giuseppe Conte, e superare così il cosiddetto “renzismo”. «D’Alema e Bersani di nuovo nel Pd? Io spero e credo di sì, anche perché abbiamo avuto percorsi non dissimili con Articolo 1 e Roberto Speranza. Sono convinta che sia l’occasione per ritrovare l’unità di una sinistra rinnovata nel gruppo dirigente e nella visione che propone», ha non a caso sottolineato Schlein.

Schlein e la sinistra «chiamano» D’Alema
Sul rinnovamento della classe dirigente tramite D’Alema e Bersani è lecito dubitare, ma il disegno è chiaro. E l’attacco al presunto “ordoliberismo” sferrato da una parte dei “costituenti” nominati da Enrico Letta per aggiornare il Manifesto dei valori veltroniano del 2007 rientra in questo disegno. O meglio rientrava, visto che il tentativo è stato parzialmente stoppato dai riformisti del Pd, rappresentati tra gli altri nel Comitato costituente da Stefano Ceccanti. Le modifiche al Manifesto ci saranno ma saranno poche, e soprattutto non verranno approvate in via definitiva: saranno la prossima assemblea e il prossimo segretario a prendere in consegna il dossier per l’eventuale ratifica dopo le primarie del 26 febbraio.

Le ragioni di Letta: allargare la partecipazione e «lealtà» verso Bersani
Meno chiaro è perché il segretario uscente Letta abbia avallato questo percorso di rientro, addirittura permettendo la partecipazione alla fase “costituente” di chi, come i dalemian-bersaniani, non è ancora iscritto al Pd. E, di più, permettendo la partecipazione degli iscritti di Articolo 1 (18mila sulla carta) ai congressi dei circoli tradizionalmente riservati agli iscritti dem. Con il paradosso che i voti degli iscritti di Articolo 1 potrebbero essere decisivi per selezionare i primi due candidati che si confronteranno alle primarie senza che sia avvenuto il rientro formale nel partito.
Una lettura potrebbe essere che Letta, proveniente dalla tradizione del cattolicesimo democratico e non certo dal Pci come D’Alema e Bersani, da una parte è stato mosso dall’idea di allargare la partecipazione per rinnovare il partito ed aprirlo ad energie nuove (è il caso di Schlein, iscrittasi solo dopo aver annunciato la sua candidatura); dall’altra ha agito per una sorta di riconoscenza e debito di lealtà verso l’ex segretario dem Bersani, di cui è stato a lungo vice fino ad arrivare a Palazzo Chigi nella primavera del 2013 dopo la “non vittoria” alle elezioni politiche.

Dal Pci al (nuovo?) Pd, la strategia di D’Alema vista da Petruccioli
E D’Alema? Perché vuole rientrare nel Pd dopo esserne uscito sbattendo la porta nel 2017 in polemica con l’allora segretario Matteo Renzi? Qui conviene fare un passo indietro, aiutati da uno storico dirigente del vecchio Pci come Claudio Petruccioli. Classe 1941, Petruccioli è stato uno dei protagonisti della famosa Svolta di Achille Occhetto che trasformò il Pci nei Ds tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, periodo raccontato nel bel libro “Il Rendiconto”, dove emergono bene le resistenze al cambiamento della classe dirigente di allora (compreso il giovane D’Alema). Petruccioli, nel rispondere alla domanda sul perché D’Alema persegua ora il progetto di rientrare nel Pd dopo il mancato successo elettorale del suo partito di sinistra (Articolo 1, appunto), rievoca l’«apologo dell’aeroplano».

L’apologo dell’aeroplano e la cabina di pilotaggio
Si era ad Orvieto nell’ottobre del 2006 e le varie famiglie che di lì a poco si sarebbero unite nel Pd – quella “socialista” o meglio ex comunista dei Ds, quella cattolico-democratica della Margherita e quindi ex Dc-Ppi e quella liberal-democratica – si riunirono per esaminare i documenti programmatici e fondativi messi a punto dal compianto Pietro Scoppola, da Roberto Gualtieri (sì, proprio l’attuale sindaco di Roma) e da Salvatore Vassallo. D’Alema prese la parola e si lanciò nella metafora dell’aeroplano che divenne poi famosa. Proviamo a sintetizzare il suo ragionamento di allora: «Non dobbiamo aver paura di uno strumento nuovo, ossia il costituendo Pd, anche se la paura è comprensibile, come quella del viaggiatore che prende per la prima volta l’aereo. Ma l’aereo è un mezzo sicuro, stabile, ha due ali, destra e sinistra. E, cosa ancora più importante, ha una cabina di pilotaggio: è la tenuta di questa cabina che assicura la sicurezza del viaggio».

Dall’«amalgama mal riuscito» alla «cosa rossa»: le variabili Schlein e Bonaccini
Che D’Alema non fosse poi così convinto del progetto veltroniano del Pd è noto, tanto che solo sei mesi dopo la nascita del nuovo partito ebbe a bollarlo come frutto di «un amalgama mal riuscito». E anche il precedente esperimento prodiano dell’Ulivo era stato vissuto da D’Alema come l’alleanza tra partiti diversi più che come la fucina di un partito del tutto nuovo. Ma in ogni caso l’importante era ed è sedere nella cabina di comando, in prima o per interposta persona: dopo il competitor Veltroni, nel 2009 fu la volta del “suo” Bersani. Tutti, in ogni caso, ex Pci. La rottura ci fu solo quando a sedere nella cabina di comando arrivò il giovane Renzi, estraneo a quella tradizione e quella logica.
Ora potrebbe essere l’occasione di riprendersi il partito, la “ditta” come la chiamava Bersani ai tempi d’oro, senza neanche dover vincere un congresso. Chiaro che il progetto avrà successo se a vincere le primarie sarà Schlein, considerata più “eterodirigibile” rispetto a Stefano Bonaccini e soprattutto ideologicamente più vicina, abbraccio con il M5s di Conte compreso. Ma chissà che, in una logica di accordo di potere, il progetto non possa avere successo anche con Bonaccini, pur sempre – è il probabile ragionamento dalemiano – un uomo di partito che proviene dalla tradizione Pci-Ds. Per ora il governatore dell’Emilia Romagna, favorito alle primarie, si tiene sul vago e a distanza («porte aperte a chi vuole rientrare»).

La bilaterale aperta del gioco del poker e la possibile via di fuga
In ogni caso D’Alema, che sempre Petruccioli descrive come un «abile giocatore di poker» sul grande tavolo della politica, ha sempre a disposizione una mossa di riserva. O meglio due opzioni dello stesso valore, come si spiega nei manuali: in caso di pari valore delle coppie conta la sequenza delle carte residue; in caso tutte le carte della sequenza siano le stesse, conta il seme della carta più alta della sequenza stessa. Se dovesse vincere Schlein bene, ancora meglio se a quel punto dovesse esserci l’uscita a destra dei riformisti. Se invece dovesse vincere Bonaccini e non si mostrasse accomodante, resta sempre la via di fuga, ossia il mancato rientro nel Pd per fare una “cosa rossa” assieme al M5s di Conte. Di cui D’Alema, va ricordato, negli ultimi anni è stato uno dei più ascoltati consiglieri assieme al plenipotenziario del Pd romano Goffredo Bettini. Chi vivrà vedrà.

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