24 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Maurizio Molinari

In attesa di sapere se la Catalogna lascerà davvero la Spagna, il referendum indipendentista ha già prodotto un effetto concreto: la coalizione dei partiti anti-europeisti può vantare un nuovo successo dopo la Brexit, evidenziando l’indebolimento degli Stati nazionali e dunque dell’Unione europea.
Basta guardare a nomi e sigle che hanno espresso aperto sostegno al referendum sul distacco di Barcellona da Madrid per rendersi conto di quanto sta avvenendo in Europa. Nigel Farage, ex leader dell’Ukip britannico che vinse il referendum sulla Brexit nel giugno 2016, ha ritrovato lo smalto di allora definendo l’intervento della polizia spagnola contro i seggi catalani «un’espressione della brutalità poliziesca europea» e Geert Wilders, leader del Partito della libertà olandese, aggiunge: «L’Ue è un luogo dove si esercita violenza contro i popoli». Heinz-Christian Strache, capo del partito di estrema destra austriaco Fpo, accusa l’Europa di «tacere sulla repressione in Catalogna» adoperando un linguaggio simile a Beatrix von Storch, eurodeputata dei tedeschi di AfD, secondo la quale «chi ama la democrazia deve prendere sul serio l’opinione dei catalani». E ancora: nelle Fiandre, Bart Laermans, deputato di Vlaams Belang, contrappone «la violenza della Guardia Civil» al «diritto di libertà dei catalani».
Si tratta di leader e forze politiche che, nei rispettivi Paesi, rappresentano formazioni estreme, anti-sistema ma accomunate dal definire il referendum catalano una «prova di democrazia», identificando nell’Unione europea la fonte primaria della «violenza esercitata da Madrid». Ovvero, se nel giugno del 2016 la variopinta coalizione anti-Europa trovò, quasi per caso, nel distacco della Gran Bretagna dall’Ue la prima dimostrazione che Bruxelles poteva essere sconfitta nelle urne, adesso il referendum catalano gli offre su un piatto d’argento ulteriori munizioni: l’immagine di un’Europa insensibile, o ancor peggio complice, delle «violenze spagnole» contro la libera volontà dei propri cittadini.
Ecco perché il tentativo di delegittimazione dell’Unione europea ha compiuto un passo avanti lo scorso 1° ottobre, offrendo ai partiti ultranazionalisti la possibilità di cavalcare una narrativa dove «Europa» è l’opposto di «democrazia». Si tratta del danno politico più serio causato dal referendum catalano: quella che prima di Brexit era una disordinata galassia di forze marginali ed estremiste, ora assume le caratteristiche di uno schieramento capace di contestare gli stessi principi fondatori dell’Ue. Se ciò può avvenire è soprattutto a causa della debolezza degli Stati nazionali che compongono l’Ue, guidati da leadership troppo spesso incapaci di comprendere lo scontento dei propri cittadini – come David Cameron in Gran Bretagna – o talmente miopi da ricorrere ai manganelli contro i cittadini – nel caso di Mariano Rajoy in Spagna – dimostrando di aver perso il contatto con le popolazioni che avrebbero dovuto rappresentare e governare.
Cameron e Rajoy purtroppo non sono casi isolati: i Paesi Ue abbondano di leader politici dei partiti tradizionali troppo lenti nel cogliere le ragioni del disagio che alberga in popolazioni scosse da diseguaglianze economiche, migrazioni di massa, terrorismo e una più generale percezione di carenza di protezione collettiva.
Poiché l’Ue è un’Unione fra Stati sovrani, più tali miopi politiche nazionali continueranno più sarà l’Europa a indebolirsi, consentendo al nazionalismo di risorgere in maniera sorprendente nello stesso Continente dove nel Novecento ha causato due conflitti mondiali, con milioni di vittime e devastazioni colossali.
C’è dunque un campanello d’allarme che risuona in Europa. Prima con Brexit e poi con il referendum catalano ci ha avvertito sul rischio che l’indebolimento degli Stati nazionali porti alla decomposizione dell’Ue sulla spinta di un ritorno alle identità primordiali delle piccole patrie che per venti secoli si sono combattute dall’Atlantico agli Urali. Tanto più accelera questo domino di stampo tribale, tanto più i rimedi devono essere rapidi, energici ed efficaci: i leader degli Stati nazionali, riuniti a Bruxelles nell’Ue come ognuno nella propria capitale, hanno la drammatica urgenza di prendere l’iniziativa per garantire ai cittadini la protezione che chiedono. Altrimenti saranno i risorgenti nazionalismi a farlo al loro posto.
Se è vero che le democrazie non hanno mai perso una guerra lo è anche il fatto che le democrazie scompaiono a causa dei propri errori – l’Italia liberale prima del fascismo, la Germania di Weimar prima di Hitler, il Cile di Allende prima di Pinochet – e ciò assegna ai leader che le guidano la responsabilità di rinnovarne costantemente stabilità e vitalità interna. Ecco perché bisogna ascoltare il campanello d’allarme che risuona da Barcellona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *