19 Settembre 2024

Si delinea un primo giro di tavolo a pochi giorni dalla nascita del nuovo esecutivo. Intanto verrà aggiornata la Nadef

Un primo faccia a faccia tra governo e parti sociali, sindacati e rappresentanti delle aziende, con sullo sfondo la legge di Bilancio 2023. L’incontro si terrà nel pomeriggio, a partire dalle 14:00, nella sede romana del ministero del Lavoro. “Padrona di casa”, la neo ministra Marina Calderone. Se da una parte quello che si delinea è un primo giro di tavolo a pochi giorni dalla nascita del nuovo esecutivo, dall’altra l’incontro precederà la riunione del Consiglio dei ministri, dalla quale uscirà un aggiornamento del quadro programmatico della Nadef, step importante verso la manovra, da chiudere entro il 30 novembre.

L’incontro tra Governo e parti sociali
L’obiettivo è ascoltare le posizioni e le richieste, per poi fare una sintesi e mettere sul tavolo le proposte. Un confronto ritenuto essenziale non solo sui temi del lavoro e delle pensioni ma in generale sulle emergenze economiche e sociali su cui i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri hanno chiesto un incontro direttamente alla premier Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

I temi sul tavolo
Sul tavolo dell’incontro al ministero del Lavoro ci sarà un pacchetto di temi: dal taglio del cuneo fiscale contributivo alle nuove regole sulle pensioni, dal rafforzamento dei premi di produttività alle modifiche al reddito di cittadinanza, dalla sicurezza sul lavoro a un’attenuazione dei vincoli previsti dal Decreto Trasparenza . Sullo sfondo del confronto, la consapevolezza che tutti i dossier richiedono risorse, e quindi un confronto con il ministero dell’Economia, in un contesto di coperta sempre più corta. I sindacati hanno già detto che non si accontenteranno di un dialogo: vogliono una vera trattativa.

Verso una riduzione graduale del cuneo contributivo
Un primo tema è quello del costo del lavoro. Nel discorso che ha effettuato davanti alle Camere, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha indicato la strada che intende percorrere: arrivare, gradualmente, a una sforbiciata di almeno cinque punti. «Serve uno shock da 16 miliardi che significa dare 1.200 euro in più a lavoratore, strutturali e questo bisogna fare», ha sottolineato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi.

Pensioni
La partita sulle pensioni passa attraverso le risorse che verranno stanziate in legge di Bilancio e dall’impatto che ogni ipotesi di intervento – da Quota 41 con o senza soglia di età a Opzione donna – ha sulle platee e quindi sui costi. L’obiettivo dell’esecutivo è evitare il ritorno dal 1° gennaio della legge Fornero in forma integrale una volta conclusa a fine dicembre l’esperienza di Quota 102, che garantisce l’uscita con almeno 64 anni d’età e 38 di contribuzione.

Le ipotesi allo studio
Allo studio un “premio” per chi rinvia la pensione. Con una busta paga più pesante di circa un terzo. Ma non tarato sugli over 63 e, probabilmente, non per tutti. Anche perché la sua “mission” prioritaria sarebbe quella di evitare nuove fughe dal pubblico impiego, a partire dai medici. La decontribuzione per incentivare i lavoratori in possesso dei requisiti di pensionamento a rimanere al lavoro, proposta dalla Lega, è all’esame dei tecnici del governo per verificarne la reale fattibilità, anche in termini di costi, in vista del varo della manovra con cui dovrebbero scattare le misure per sostituire Quota 102, magari con una versione rivista (62 o 63 anni d’età e 41 di versamenti). E proprio i requisiti minimi richiesti per accedere alla pensione, che in più di un caso differiscono tra le varie categorie, diventerebbero la soglia oltre la quale scatterebbe l’incentivo. I sindacati chiedono di introdurre un sistema di flessibilità per evitare che ci si trovi a gennaio con la possibilità di andare in pensione solo con almeno 67 anni di età o dopo aver versato 42 anni e 10 mesi di contributi. Cgil, Cisl e Uil chiedono di costruire una pensione di garanzia per i giovani, dare la possibilità di uscire da 62 anni o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, di riconoscere la diversità tra i lavori e una corsia per le donne.

Benefit e premi produttività
L’idea dell’esecutivo Meloni è quella di usare la leva fiscale per sostenere il reddito disponibile dei lavoratori, attraverso la diffusione del welfare aziendale e dei premi di produttività, con un vantaggio per la competitività delle imprese. Il governo sta valutando su un mix di strumenti (si veda anche Il Sole 24 Ore del 2 novembre). In primo luogo, si vorrebbero rafforzare i fringe benefit, strumento che consente di aumentare i salari (sono esentasse per i lavoratori), ma sottoutilizzato. Il decreto Aiuti bis ha innalzato, ma solo per il 2022, l’esenzione a 600 euro (da 258,32 euro era stato già portato a 516,46 euro) includendo anche le spese per le utenze domestiche, un aiuto molto sentito dalle famiglie. Oltre a questi 600 euro ci sono anche i 200 euro del buono carburante introdotto sempre dal governo Draghi. L’idea dei tecnici dell’esecutivo è quella di confermare l’intervento sui fringe benefit anche per il 2023; e se possibile innalzando ulteriormente il tetto a mille euro. Per quanto riguarda i premi di produttività, l’esecutivo punta a renderli più convenienti. Oggi i premi di produttività sono tassati con una cedolare secca del 10% fino a 3mila euro annui, per redditi fino a 80mila euro. Il governo sta pensando di dimezzare la tassazione, abbassandola dal 10 al 5 per cento.

Reddito di cittadinanza
C’è poi allo studio una revisione del reddito di cittadinanza per distinguere tra i percettori che non essendo in grado di lavorare hanno bisogno di un sostegno, come misura di protezione sociale, e quanti invece sono considerati “occupabili” e devono attivarsi, se necessario formarsi, per inserirsi nel lavoro. Secondo fonti di governo, nella manovra entrerà anche un restyling di questo sostegno al reddito. Le soluzioni in campo sono diverse e si sta cercando una sintesi nell’esecutivo. Alla vigilia dell’incontro tra Calderone e le parti sociali il viceministro al Lavoro Claudio Durigon ha sottolineato, in occasione di un intervento a Radio 24, che il reddito di cittadinanza non finirà il 31 dicembre di quest’anno, ma ha anche aggiunto che il Rdc «non può essere una cosa che si dà a vita a chi può e deve andare a lavorare. Qualcosa si può progettare fin da subito, ne discuteremo con il ministro di riferimento, Calderone e anche con la coalizione. Credo che ci sia un’unione di intenti», ha concluso il leghista.
Attualmente è previsto un decalage dell’assegno dopo il primo rifiuto, la revoca dopo il secondo no. Ma perché il sistema decolli effettivamente, è la posizione sostenuta da più parti, serve potenziare i centri per l’impiego e l’incontro tra domanda e offerta. A fine giugno scorso, secondo gli ultimi dati disponibili dell’Anpal, erano 660mila i beneficiari soggetti al Patto per il lavoro e dunque “occupabili”.

Sicurezza
Nei giorni scorsi i sindacati hanno annunciato che in occasione del primo incontro con il neoministro del Lavoro avrebbero posto anche il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Sul tavolo c’è anche il decreto Trasparenza che ha introdotto nuovi oneri e vincoli per le imprese. Tutti le principali associazioni datoriali hanno chiesto di alleggerire le norme introdotte, spesso andando oltre le direttive Ue, facendo un ampio ricorso alla contrattazione.

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