E’ la “provocazione” lanciata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nel suo intervento al Forum Ambrosetti dello scorso 6 aprile

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti l’ha definita una “provocazione”, che tuttavia ha un peso, perché cade nel bel mezzo delle consultazioni di queste ore in sede europea per far fronte all’offensiva lanciata con i dazi da Donald Trump. Una possibile via di uscita per consentire ai paesi europei di mettere in campo sostanziosi interventi pubblici a sostegno delle attività produttive più colpite dai dazi potrebbe essere quella già seguita nel 2020 per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia: attivare la clausola di sospensione generale del Patto di stabilità. E’ una strada effettivamente percorribile? E quali potrebbero essere i vantaggi per il nostro Paese?

La clausola
Giorgetti nel suo intervento al Forum Ambrosetti dello scorso 6 aprile si è riferito esplicitamente alla “general escape clause” prevista dal Patto di Stabilità europeo nel caso in cui si verifichi un evento eccezionale che comporti una grave recessione economica. Il caso del Covid rientrò a pieno in questa tipologia, tanto che la Commissione europea decise di attivare la clausola di sospensione nel marzo 2020 e i governi condivisero tale scelta. «I ministri delle Finanze degli Stati membri dell’UE – si legge nel documento diffuso il 23 marzo 2020 – condividono la valutazione della Commissione espressa nella comunicazione del 20 marzo 2020, secondo cui sono soddisfatte le condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia generale del quadro di bilancio dell’UE: una grave recessione economica della zona euro o dell’intera Unione». Il ricorso alla clausola avrebbe garantito la “flessibilità necessaria” per adottare tutte le misure adeguate per sostenere i sistemi sanitari e di protezione civile e tutelare le economie europee, «anche mediante ulteriori misure discrezionali di stimolo e azioni coordinate da parte degli Stati membri concepite per essere tempestive, temporanee e mirate, come più opportuno». La conseguenza fu che i paesi europei furono autorizzati a ricorrere a più riprese all’indebitamento per contrastare gli effetti della pandemia. La sospensione della disciplina di bilancio, con annesse le deviazioni dal percorso di contenimento del deficit verso l’obiettivo del 3% del Pil e del debito verso il 60%, si protrasse fino al 31 dicembre del 2023. Poi, dopo un faticoso negoziato che ha visto i governi impegnati in un acceso confronto sul testo messo a punto dalla Commissione, si è giunti a un’intesa in base alla quale è stato riformato in più parti il meccanismo stesso del Patto di stabilità (con l’ingresso del nuovo parametro sulla spesa netta, la previsione di un percorso di aggiustamento la cui proiezione è su base pluriennale, nel nostro caso sette anni), che è ora al suo primo anno di applicazione.

Cosa ha deciso finora Bruxelles?
La procedura messa in atto da Bruxelles riguarda per ora solo le spese per la difesa, e in questo caso è stata attivata la clausola di sospensione nazionale che consente di sforare il tetto del deficit per un massimo dell’1,5% del pil annuo per ogni Stato membro e per un massimo di quattro anni. La procedura per i deficit eccessivi rimane invariata, salvo le eccezioni previste per la difesa. E’ nel dettaglio l’articolo 26 della direttiva che rivisto la governance economica europea che prevede appunto l’attivazione di clausole di salvaguardia nazionali per far fronte a specifiche emergenze (in questo caso le spese per la difesa), che è altra cosa rispetto all’articolo 25 (cui pure ha fatto riferimento Giorgetti), vale a dire appunto la clausola di sospensione generale che consente di deviare dal percorso di rientro dei conti pubblici a valere sul parametro della spesa netta. Una clausola che si attiva (come appunto fu per il Covid) in presenza di una “grave congiuntura” economica/recessione che coinvolga l’eurozona o l’intera Unione europea.

Vi sono margini per riattivarla?
Al momento, stando alle prime reazioni informali di Bruxelles, non si intravvedono le condizioni per mettere subito in azione la sospensione generale dei vincoli di bilancio europeo. La risposta europea ai dazi di Donald Trump è in via di definizione, e sono in corso analisi e simulazioni dell’impatto che potranno avere sull’economia del Vecchio Continente. Laddove sussistessero le condizioni (vale a dire in poche parole l’economia che scivola verso una grave contrazione), sarebbe la Commissione UE a farsi carico della proposta, che poi dovrà essere condivisa dai Governi. Non è escluso in via di principio che ci si possa arrivare, ma al momento prevale la cautela. L’altra strada (che pure viene evocata da parte del Governo se pur a livello teorico) di una nuova revisione della governance economica appena riformata pare al momento impercorribile.

Quali sarebbero i vantaggi per l’Italia?
Certamente l’eventuale nuova sospensione delle regole di Bilancio fissate nel Patto di stabilità aprirebbe margini a disposizione del Governo per sostenere in deficit i settori produttivi maggiormente colpiti dai dazi. Non vi sarebbe in sostanza più (per un periodo da stabilire) l’obbligo di un aggiustamento minimo strutturale pari all’1,5% del Pil spalmato su sette anni, come previsto dall’attuale disciplina di bilancio, e anche per il debito verrebbe meno il percorso di rientro che dovrebbe scattare all’uscita dalla procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Più deficit in sostanza, non sanzionato dalla Commissione, come avvenne per il Covid. Margini di bilancio ampiamente utilizzati dal 2020 in poi. Più che percorrere questa strada (che comunque potrebbe incontrare l’obiezione di diversi paesi europei), e più che rincorrere la via delle reiterate sospensioni delle regole europee, sarebbe di gran lunga preferibile che si decidesse di replicare per il combinato dell’emergenza difesa e dazi il meccanismo messo in atto con il programma Next Generation EU, in sostanza emissione di debito comune da parte della Commissione garantito da tutti i paesi membri sia sotto forma di prestiti che di sovvenzioni da destinare in quota parte ai vari paesi. La Germania potrebbe non opporsi, ora che con una decisione dalla portata storica ha deciso di rivedere il vincolo costituzionale sul “freno” al debito, aprendo così la strada a investimenti per la difesa e per le infrastrutture per circa 1.000 miliardi.

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