23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Aldo Cazzullo

L’ingegnere: Renzi con questa legge elettorale rischia di diventare il Fassino d’Italia«Se ne freghi delle regole Ue: nazionalizzi le banche in difficoltà e investa sul sapere»

«Siamo a un tornante storico. La globalizzazione di cui abbiamo cantato le lodi genera un sentimento di rigetto verso le classi dirigenti politiche ed economiche; e nel mio piccolo mi ci metto anch’io. Abbiamo consentito alla globalizzazione di espandere i suoi benefici per tutti noi: abbattere l’inflazione, rivoluzionare insieme con la tecnologia la vita quotidiana. Ma sono aumentate drammaticamente le differenze tra chi ha e chi non ha».

Chi ha cosa, ingegner De Benedetti?
«Soldi e cambiamento di prospettive di vita della propria famiglia. In America, ma non solo, si è avuta la distruzione della classe media, di quelli che oggi votano Trump».

Trump vincerà?
«Mi rifiuto di pensare che l’America possa eleggere uno come lui».

Un miliardario.
«Uno che racconta di essere miliardario, ma confonde i suoi debiti con il suo patrimonio: ha sei miliardi di debiti, al netto avrà un patrimonio attorno ai 200 milioni di dollari. Non posso pensare che i valori basici su cui è stata costruita la società americana, e che la tengono insieme nonostante esplosioni di rabbia tipo quella di Dallas, scelga Trump, che promette il totale isolazionismo. Anche se capisco la rabbia dell’operaio della General Motors che vuole votarlo».

Trump può vincere in Stati democratici e industriali come il Michigan e la Pennsylvania.
«L’operaio della General Motors 15 anni fa era classe media. Aveva una casa, il mutuo. Era uno dei propulsori dell’ascensore sociale, perché poteva mandare suo figlio all’università. Oggi il combinato disposto della tecnologia e della globalizzazione l’hanno espulso dal posto di lavoro, ridotto a cameriere da Starbucks o a fattorino per Amazon. Non è più classe media, non può più mandare i figli a un’università che costa 50 mila dollari l’anno per 5 anni. Per questo l’antica divisione tra democratici e repubblicani è del tutto scomparsa».

Lei scrive sull’Espresso che la medesima cosa è accaduta al referendum su Brexit: sono saltate le categorie conservatori-laburisti.
«Guardi, è la quarta volta in vita mia che scrivo un articolo su un giornale del gruppo. Il primo lo scrissi sulla riunificazione tedesca: previdi che la Germania l’avrebbe fatta pagare agli altri europei, con l’austerity. Il secondo alla vigilia della guerra in Iraq, presagendo il disastro. Il terzo dopo la vittoria apparente degli americani, che in realtà apriva la strada al collasso del Medio Oriente e al terrorismo».

E ora cosa prevede?
«Una nuova, drammatica crisi economica globale. Tenete d’occhio il cambio dollaro-yuan: la Cina comincia a svalutare, spia di una visione assolutamente negativa. Non so se sarà tra un mese o tra un anno; so che questa bolla finanziaria è troppo pericolosa. La Fed, la Bce, la Bank of Japan hanno riversato sul mondo tonnellate di moneta, ma non hanno contrastato la deflazione. Oggi ci sono 11 trilioni di dollari di titoli di Stato, emessi da vari Paesi, che hanno rendimento negativo. Questi soldi, stampati per entrare nell’economia, sono rimasti in una nuvola che aleggia sopra di noi e che spostandosi determina scossoni finanziari e minacce di tuoni e fulmini, senza penetrare nell’economia reale. È come se ci fosse un immenso prato che ha disperata sete di acqua, ma è coperto da un telo di plastica; la pioggia non dà ristoro, si trasforma in torrenti che sconvolgono il territorio».

Brexit c’entra?
«Brexit è una conseguenza, non una causa. La globalizzazione è diventata insostenibile perché crea troppe diseguaglianze. Nel 2002 lo 0,01% degli americani più ricchi guadagnavano a testa 700 mila dollari; oggi guadagnano 21 milioni».

La nostra Brexit è il referendum costituzionale. Lei come voterà?
«Non sono tra chi considera la Costituzione intoccabile. Io il 1946 me lo ricordo. Ero rientrato nell’agosto del ’45 da due anni di campo profughi in Svizzera. La prima preoccupazione era che non potesse tornare il fascismo. La nostra Costituzione, con due Camere che fanno lo stesso lavoro come in nessun altro Paese, è anche figlia della paura dell’errore. Oggi le condizioni sono del tutto mutate. Anche la Costituzione Usa è cambiata più volte; ma non ribaltando le garanzie dei pesi e contrappesi che costituiscono la democrazia americana chiunque sia al potere; e soprattutto non in accoppiata con la legge elettorale. Il combinato disposto della proposta di modifica costituzionale, e di una legge elettorale pensata per un sistema bipolare in un sistema tripolare, consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale. È un pericolo che l’Italia non può correre».

Quindi voterà no?
«Spero di non essere costretto a votare no. La riforma ha molti aspetti positivi. Ma se l’Italicum non cambia, esprimerò la mia contrarietà. Per questo mi auguro che intervenga la Consulta. O che lo cambi prima Renzi».

Renzi lo esclude.
«Altri all’interno del Pd la pensano diversamente. Ci possono essere diverse leggi elettorali. Il Mattarellum è compatibile con le riforme costituzionali e non comporta i rischi dell’Italicum. Uno non può fare una legge elettorale in base alla situazione esistente; ma non può non tenerne conto. Altrimenti Renzi rischia di diventare il Fassino d’Italia».

Cioè di essere battuto dai 5 Stelle?
«Al ballottaggio i secondi e i terzi arrivati si alleano contro il primo. Non è politica; è aritmetica».

I 5 Stelle sono un pericolo?
«I 5 stelle sono la concretizzazione democratica della ribellione alle élite. Contestano quello che c’è ma non si sa esattamente cosa vogliano. Ora si preparano a diventare classe di governo: Grillo dice che non è contro l’Europa ma contro “questa Europa”: cosa significa, come la vorrebbe cambiare? La Raggi annuncia che vuole Roma pulita; bene, lo voglio anch’io; ma come? Di Maio vuole il reddito di cittadinanza; bene, ma chi lo paga?».

Sei mesi di governo Di Maio e arriva la trojka?
«Non lo so. Certo uno che non ha esperienza, mi propone il reddito di cittadinanza e non mi dice come lo finanzia, a me suscita una certa diffidenza».

Nel giro di pochi mesi ci attendono voti decisivi in Italia, in America, in Austria, in Francia.
«È come se lampadine di colore differente si accendessero tutte insieme in varie parti dell’Occidente, a segnalare il rischio del populismo. In Italia Grillo, in Austria e in Ungheria il paranazismo. In Inghilterra il populismo si è chiamato Brexit, negli Usa si chiama Trump, in Francia Marine Le Pen. Sono movimenti diversissimi tra loro, ma indice di uno stesso disagio».

Il populismo può ancora essere sconfitto?
«Sì, se si prende atto del fallimento delle élite. Faccio un esempio italiano. Capisco la buona fede con cui Renzi ha fatto i famosi 80 euro, nella convinzione di rimettere in moto i consumi e dare una spinta all’economia. Quella misura ci è costata 10 miliardi. Io penso che li avremmo dovuti spendere per borse di studio in facoltà scientifiche — ingegneria, fisica, biologia, medicina —, con criteri di selezione durissima, ma che evitassero la più odiosa delle ingiustizie: l’educational divide, la diseguaglianza del sapere. Io non lo vedrò, ma i miei nipoti vivranno in un mondo in cui non si sarà discriminati per i soldi o il colore della pelle, ma per l’accesso al sapere».

Lei in un’intervista al «Corriere» del novembre 2011 espresse un giudizio negativo su Renzi. Tre anni dopo ammise di aver cambiato idea. Oggi cosa pensa di lui?
«Il mio giudizio resta positivo. Renzi ha rappresentato un elemento di cambiamento cinicamente violento ma assolutamente utile al Paese. Ha aperto a una classe politica più giovane — e glielo dice uno vecchio —, meno legata alla storia, alle lobby, alla tradizione, più libera e spregiudicata nel modo di pensare. Renzi ha rotto la corda del trascinamento del passato. Ma è un formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il lavoro, le banche non vanno bene. Non è certo colpa di Renzi; ma Renzi, come me, fa parte delle élite. E la gente se la prende con lui, dopo due anni di governo e tenuto conto dell’enorme potere che si è conquistato in modo totalmente democratico».

A dire il vero non è mai stato eletto.
«Queste sono sciocchezze. È stato eletto presidente della Provincia, sindaco di Firenze, segretario del Pd. Non è andato al governo con i carri armati ma all’interno del sistema costituzionale, come i suoi predecessori, pur essendo diversissimo da loro. E per fortuna». Anche da Prodi? «Prodi a mio avviso ha sbagliato sull’allargamento dell’Unione europea. La globalizzazione non è solo la Cina: pensi a quanti posti di lavoro ci sono costate le delocalizzazioni in Romania e Bulgaria».

Renzi perderà il referendum?
«Lo perde se non spiega bene la sua riforma. Il consenso è calato, ma non è certo colpa del Corriere, come qualcuno pensa; è colpa del fatto che hanno ridotto molto il contatto con la gente. Eppure è un calo, non un crollo come quello di Hollande. Renzi è ancora in tempo a salvarsi. A una condizione». Quale? Cosa deve fare? «Ribellarsi alle regole europee su due punti. Primo: nazionalizzare le banche che non ce la fanno da sole».

Non può, l’Europa non lo consente.
«Non sono d’accordo. Lo dice anche l’Economist, che non è un pericoloso sovversivo come me. Lei crede che la Germania non salverà la Landesbank di Brema? Cambiamo nome al Monte dei Paschi, chiamiamolo Landesbank Siena. E aiutiamolo. Lei crede che l’Europa sanzionerà Spagna e Portogallo per il deficit eccessivo? Non lo farà. Bisogna ribellarsi all’Europa delle regole, altrimenti rovesceremo il principio democratico. È la politica che fissa le regole, non le regole che fissano la politica».

E il secondo punto su cui Renzi dovrebbe disobbedire all’Europa?
«Sul vincolo del 3% per investire sul sapere. Collegare alla banda larga tutte le scuole sarebbe il vero modo di cambiare verso. Ridare la leva del sapere a chi la merita è più importante che rispettare un numerino. Se l’Europa vuole battere un colpo, cominci dalle generazioni future. Un’Europa che parla solo del passato rischia di morire, di dissolversi e — uso una parola grossa — di tornare alla stagione delle guerre».

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