20 Settembre 2024

Fonte: Il Sole 24 Ore

di Dino Pesole


Il Governo potrà far valere i cosiddetti fattori rilevanti, vale a dire l’effetto sui conti pubblici del marcato rallentamento dell’economia, e potrà confrontarsi con Bruxelles sull’annosa questione del calcolo del pil potenziale, il cosiddetto output gap. Non per questo potrà evitare di affrontare in autunno un nuovo, duro braccio di ferro con la Commissione europea e con i partner europei (eloquente in proposito il richiamo al rigore del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che in linea teorica dovrebbe essere ascritto tra gli “alleati” sovranisti del governo).

Debito fuori linea
Il problema numero uno, quale emerge dalle nuove previsioni macroeconomiche della Commissione europea (il varo delle raccomandazioni è atteso per il 5 giugno) ruota attorno all’andamento del debito, che sarà oggetto di un nuovo rapporto in rampa di lancio dopo le elezioni europee e che porrà l’accento su quelli che nella terminologia europea si chiamano “squilibri macroeconomici eccessivi”. Il mancato rispetto della regola del debito, che imporrebbe quanto meno un visibile e credibile percorso di rientro (le regole europee ne prevederebbero sulla carta una riduzione di un ventesimo l’anno) espone sulla carta nuovamente il nostro paese all’apertura di una procedura d’infrazione. Il fatto che per ora su questo fronte si scelga una strada di sostanziale attendismo rassicura fino a un certo punto. Se emerge al momento chiaramente la volontà politica di Bruxelles di non alimentare lo scontro con l’Italia a pochi giorni dal cruciale appuntamento con le elezioni europee, di certo la questione si riproporrà in autunno, quando verranno chiesti impegni precisi perché il debito riprenda a scendere a partire dal prossimo anno.

I conti rimandati all’autunno
Al momento, stando a quanto prevede il Documento di economia e finanza, quest’anno il rapporto debito/pil si dovrebbe attestare attorno al 132,6%, contro il 132,2% dello scorso anno, per scendere leggermente al 131,3% nel 2020. Ma Bruxelles (e non solo) guarda con un certo scetticismo al programma di privatizzazioni che dovrebbe consentire di ridurre il debito di circa 18 miliardi. In presenza di una crescita che quest’anno si attesterà di poco sopra lo zero, centrare questi obiettivi di riduzione del debito pare alquanto arduo. Da qui la richiesta di chiarimenti che verrà recapitata al governo tra breve. Fa parte della dialettica usuale in questa fase dell’anno. Poi i conti veri si faranno in autunno, quando i nuovi assetti ed equilibri politici determinati dal voto del 26 maggio saranno ben definiti. La nuova Commissione peraltro si insedierà non prima di novembre, quindi non è da escludere che sia l’attuale Commissione a gestire questo ulteriore braccio di ferro con il governo.

Il nodo della manovra di bilancio
Naturalmente, a Bruxelles come nelle altre capitali europee si guarda ai fragili equilibri politici su cui si regge l’esecutivo giallo/verde, e si è soprattutto in attesa di conoscere come e con quali risorse si farà fronte ad una manovra di bilancio che al momento già oscilla tra i 35 e i 40 miliardi. A tanto ammonta il conto finale, se si vorrà evitare che scatti l’aumento di Iva e accise per 23,5 miliardi, finanziare le spese indifferibili e l’eventuale avvio della flat tax, oltre all’aggiustamento richiesto sul versante del deficit. E qui siamo alla seconda, rilevante questione. Accanto al mancato rispetto della regola del debito, Bruxelles evidenzia la violazione dell’altra raccomandazione rivolta al nostro paese relativamente alla riduzione del deficit strutturale, parametro fondamentale calcolato al netto delle una tantum e delle variazioni del ciclo economico. Non c’è stato il taglio dello 0,3% del Pil richiesto, e ora si prospetta una richiesta di intervento pari allo 0,6%, in linea peraltro con quanto prevede l’attuale disciplina di bilancio per i paesi ad alto debito come l’Italia. Il che equivarrebbe a un intervento sui saldi di finanza pubblica di 10 miliardi.

Verso un confronto serrato con l’Ue
Al ministero dell’Economia ci si prepara a un nuovo, serrato confronto sulla metodologia di calcolo dell’output gap, che incide sul deficit strutturale, e i valori in gioco differiscono nettamente, tanto che a parere del governo l’intervento sul deficit strutturale non dovrebbe eccedere lo 0,25% del Pil, contro lo 0,6% ribadito da Bruxelles. Questioni tecnico-contabili e valutazioni più squisitamente politiche si intrecciano. Fatto sta che, nonostante il faticoso compromesso raggiunto lo scorso anno a ridosso di Natale (che ha indotto il governo a ridurre il deficit del 2019 al 2% contro l’iniziale 2,4% e ad alleggerire la manovra per oltre 10 miliardi), i nodi di fondo non paiono rimossi e sono dunque pronti nuovamente ad essere riproposti. Se prevarrà nel dopo voto un orientamento da parti dei governi europei più marcatamente rigorista nei confronti dell’Italia, sarà ben difficile questa volta evitare in autunno di correre ai ripari con una drastica stretta di bilancio. L’alternativa è la procedura di infrazione per disavanzo eccessivo motivato dalla violazione della regola del debito, molto pesante quanto a condizioni e termini di rientro, con annessa le pesanti ripercussioni che potranno esservi da parte dei mercati. Uno scenario che va scongiurato con determinazione, ma anche con abilità negoziale. Non certo con un atteggiamento da muro contro muro.

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