31 Ottobre 2024

Lo scrittore e critico ucraino Oleksand Mykhed, 36 anni, ha confessato di non riuscire a leggere romanzi da quando è scoppiata la guerra, ma  scrive ossessivamente, riportando fatti reali, i fatti che ha sotto gli occhi. Nessuna finzione, perché non è tempo di finzioni

Lo scrittore e critico ucraino Oleksand Mykhed, 36 anni, ha confessato di non riuscire a leggere romanzi da quando è scoppiata la guerra, ma di non aver mai smesso di scrivere: scrive ossessivamente, riportando fatti reali, i fatti che ha sotto gli occhi. Nessuna finzione, perché non è tempo di finzioni. C’è da ricordare che Mykhed ha avuto la sua casa, vicino a Kiev, dove viveva con la moglie e il cane, distrutta quasi subito da un missile russo e prestissimo si è arruolato come volontario nell’esercito del suo Paese.
Su «El Pais», lo scrittore spagnolo Antonio Muñoz Molina ha commentato: di fronte alla brutalità della guerra non è possibile inventare niente. E ha citato il fisico premio Nobel Richard Feynman: ci vuole più talento a immaginare ciò che esiste che a inventare ciò che non esiste. È come dire (meglio) che la realtà supera la fantasia, e la realtà della guerra deve essere più impressionante di qualunque romanzo horror.
Dice Mykhed: «Non credo nella possibilità di fuggire nei mondi della finzione quando la realtà della tua vita sta andando in fiamme». Si tratterebbe dunque «solo» di testimoniare la brutalità degli eventi? Lo hanno fatto, per esempio, Vasilij Grossman; e per noi, dal fronte della Grande Guerra, Ungaretti in poesia, Comisso e Gadda nei loro taccuini, che sono opere tra le migliori della nostra letteratura. Altri però, pur avendo vissuto la guerra, l’hanno deformata (Céline) o esaltata (D’Annunzio, i futuristi…).
Molti l’hanno semplicemente, umanamente, rimossa. I più hanno rimosso le tragedie che non hanno vissuto oppure se le sono inventate. In tempi di lunga pace, come gli ultimi ottant’anni europei, l’orrore immaginato, immaginario o visto in tv ha inondato i romanzi (tantissimo quelli italiani). Era privo di dolore e di sangue, con molta vernice rossa grondante (di «letteratura dell’inesperienza» aveva scritto giustamente Antonio Scurati). La domanda è degna di Catalano: meglio un Paese in pace ma con una pessima letteratura, o un Paese in guerra con una letteratura da antologia?

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