20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Monica Guerzoni

La reazione: «Da noi c’è libertà di opinione», si commenta nell’entourage del capo 5 Stelle


Luigi Di Maio se l’aspettava, ma non per questo l’incursione di Alessandro Di Battista sul terreno prematuramente minato del governo lo allarma di meno. Il capo politico dei 5 Stelle e ministro degli Esteri ha già parecchi fronti da presidiare, deve tenere d’occhio le mosse del premier e deve arginare l’agitazione dei suoi gruppi parlamentari, che prima lo hanno forzato a trattare con il Pd e adesso faticano ad amalgamarsi con gli alleati. E così ieri, quando l’ex deputato è piombato sulla fragile alleanza giallo-rossa addossando al Pd ogni possibile nefandezza, dalla Farnesina hanno provato a metterci una pezza.
«Per il M5S esiste libertà di pensiero e di opinione», è il messaggio in bottiglia che i vertici del Movimento hanno lanciato nel mare del Pd, agitato dalla scissione di Renzi. Un modo soft per tranquillizzare Zingaretti e compagni, assicurando loro che Di Battista ha sparato veleno a titolo personale. Ma c’è un secondo concetto, bruscamente rivolto ai dirigenti dem: «Noi non teniamo a bada nessuno». Come a dire che l’Alessandro Furioso continuerà a bombardare il Nazareno e la nuova «casa» di Renzi.
Se Di Maio lascia che un simile monito giunga alle orecchie degli alleati è perché lo ha irritato parecchio l’avviso di Andrea Marcucci, che a lui e a Giuseppe Conte ha chiesto di frenare i «deliri» di Di Battista perché non faccia saltare il governo. Marcucci è il presidente dei senatori dem, ma è anche uno storico amico di Renzi, al quale è sempre stato leale. Il che potrebbe renderlo strada facendo meno affidabile agli occhi di Di Maio, il quale di certo non ha apprezzato il riferimento del capogruppo all’«ala radicale» dei 5 Stelle come all’altra mina che, oltre a Di Battista, minaccerebbe il governo. Tensioni e sospetti, esasperati dall’apparizione di Renzi sulla scena come terza gamba dell’alleanza. E adesso, ecco che torna anche Di Battista e avverte: «Io da fuori farò le mie battaglie. Non voglio destabilizzare nessuno…». Di certo quel che vuole è far esplodere le contraddizioni di una maggioranza che, per fermare Matteo Salvini, ha messo insieme due nemici acerrimi come democratici e 5 Stelle. E anche se Di Maio ha apprezzato che l’ex amico delle origini si sia morso la lingua durante le trattative, ora teme il continuo controcanto dell’attivista giramondo e senza poltrona.
«È rimasto fuori dal governo per il veto del Pd e ora ci sta che si sfoghi», sdrammatizzano nell’entourage del capo politico. Dove al tempo stesso si interrogano su come arginare la furia dell’arcinemico di Renzi e del Nazareno, che soffre la stima di Beppe Grillo nei confronti di Conte e si oppone alla metamorfosi «moderata» del Movimento. Un’idea, per trasformare un problema in una possibile risorsa, Di Maio la coltiva da tempo: affidare ad «Alessandro» uno dei dodici posti nel «team del futuro», come «facilitatore» sul tema dell’ambiente.

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