22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

Campania e Puglia le uniche chance di un traguardo a due cifre. Emiliani in pressing per candidarsi ma il Pd spera nella desistenza

Può il primo partito di maggioranza relativa in Parlamento, sebbene in crisi di consenso, disertare le elezioni in tutte le principali regioni che andranno al voto da qui a sei mesi, tranne due? Il Movimento uscito trionfante dalle urne nemmeno due anni fa sfilarsi dalla responsabilità di affrontare i propri elettori? Sì potrebbe, se fosse per il suo capo politico. Luigi Di Maio ha dato tempo fino al 10 dicembre ai territori e ai delegati regionali per prendere una decisione ma appena cinque giorni fa ha confidato tutti i suoi timori, prima di partire per il piccolo tour casalingo di abbracci, caffè e affetto a Pomigliano d’Arco e dintorni, e prima ancora di incontrare i grillini calabresi ed emiliano-romagnoli che andranno al voto a fine gennaio: «Io non vorrei candidarmi in tutte le regioni nemmeno a maggio. Ma solo in quelle dove possiamo fare un risultato decente».
È un calcolo politico che svela il disorientamento di un Movimento che molla per debolezza dichiarata, terrorizzato dai continui tonfi locali. Non gareggiare per evitare di vedere per l’ennesima volta immortalate sugli schermi percentuali sempre più basse. Sono le conseguenze psicologiche, devastanti, dell’Umbria. Si lascia solo due regioni come possibilità, Di Maio: la sua Campania e la Puglia, scossa dal caso dell’ex Ilva, una terra che crede possa ancora regalargli qualche soddisfazione.
Non si tratta di vincere, lo sa bene. Non lo dice esplicitamente, ma quello che i suoi interlocutori intuiscono è chiaro: un “risultato decente” vuole dire un traguardo almeno a due cifre. In Campania si può, se è vero che Sergio Costa, secondo i sondaggi locali potrebbe anche arrivare al 20 per cento, condannando a sconfitta certa Vincenzo De Luca e favorendo la vittoria del centrodestra. Anche se non c’è ancora niente di sicuro, il ministro dell’Ambiente è il candidato del cuore sul quale punterebbe Di Maio, un nome che piace alla sinistra ambientalista del Movimento e che potrebbe riaccendere le speranze di chi ancora crede in una convergenza demogrillina a livello locale.
Altrove il leader vede solo altre figuracce, ognuna delle quali lo costringerebbe alla gogna, a subire il processo che puntualmente si ripete sulla sua leadership. Così in Veneto, dove circola con insistenza l’ipotesi di non candidare nessuno. Così in Liguria, dove pure il Pd aveva molto aperto al M5S, prima che Alice Salvatore, al segnale di Di Maio, inserisse la retromarcia, scatenando una frattura interna (nelle chat di molti eletti circola il video in cui la consigliera regionale intervistata su Primocanale il 16 settembre definiva “possibile” la replica dell’esperimento umbro). Così in Toscana, dove potrebbe invece correre la neonata Italia Viva di Matteo Renzi, alle prese con gli stessi calcoli di Di Maio sull’opportunità di candidarsi a riparo delle sconfitte , o perlomeno delle brutte sconfitte.
I vertici del M5S hanno chiesto consiglio ai sondaggisti. Tutti sembrano concordi sul fatto che scomparire dai radar elettorali regionali potrebbe danneggiare ancora di più il Movimento. Ed è uno dei motivi per i quali i grillini dell’Emilia-Romagna e della Calabria hanno detto a Di Maio di voler presentare comunque una lista. La riunione dell’altro ieri sera è stata movimentata. I calabresi hanno anche proposto un nome. Sono volati ultimatum e pare che i consiglieri comunali emiliano-romagnoli abbiano minacciato di dimettersi nel caso in cui il capo politico decidesse di ritirare la squadra. Di Maio ha preso tempo. Dice che vuole condividere ogni passo con i territori ma non è escluso che possa a breve arrivare un intervento risolutore di Beppe Grillo, contattato da più parti, anche perché c’è da capire cosa succederà nella sua Liguria.
La decisione finale, da statuto, spetta al capo politico e Di Maio vorrebbe prenderla entro lunedì, consapevole che è una scelta “lose-lose”, in cui si perde in ogni caso. Perché è una sconfitta non candidare il M5S come lo sarà partecipare a una sfida iper-polarizzata tra Lega e Pd. Nonostante c’è chi nel M5S tifi per il governo giallorosso e suggerisca la desistenza come il modo migliore per blindarlo. La realtà dei numeri è impietosa. I sondaggi più benevoli in Emilia-Romagna danno il M5S al 5-6%. È poco, ma molto probabilmente abbastanza, secondo diversi analisti, per portare a vittoria la candidata di Matteo Salvini, Lucia Borgonzoni, se i grillini corressero in solitaria. Per il Pd sarebbe un disastro. Con una conseguenza che ha ben presente Di Maio e che i dem fanno fatica a non immaginare come scontata: il governo non sopravviverebbe.

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