Mobilitiamoci per dire basta al “pinkwashing”
“Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci”, scriveva Virginia Woolf. Le iraniane e le ucraine quest’anno sono un grande esempio.
E la forza, il coraggio che le donne iraniane e ucraine hanno mostrato quest’anno sono un grande esempio, una spinta per noi tutte a tornare protagoniste di battaglie collettive. In milioni fuggono dall’Ucraina con i loro figli, madri sole a capo di famiglie spezzate, costruendo una transitoria nuova normalità. In migliaia si pongono alla testa della rivolta contro il regime iraniano, per l’ autodeterminazione e la libertà del loro popolo. Sono gesti che devono darci la forza di scendere in campo perché i diritti delle donne diventino centrali nell’agenda politica del nostro Paese. Rassicurazioni e promesse non bastano più. Non se ne può più del pinkwashing, dello stanziamento di quattro soldi.
Serve un’azione permanente di governo, con investimenti veri. Serve una battaglia contro gli stereotipi che condizionano l’educazione dei bambini, destinando i maschi al ruolo di capi e le femmine ad essere accudenti, i bambini a studiare le materie scientifiche, le bambine il resto. Si devono rivedere i libri di testo, la formazione degli insegnanti, serve un piano per abbattere la parte inconsapevole dei pregiudizi. Necessitiamo di una strategia per l’occupazione femminile con stanziamenti seri.
Per il 2010 l’Europa si era data l’obiettivo del 60% di tasso di occupazione femminile: noi siamo al 51,9% e non abbiamo fissato l’anno in cui raggiungerlo.
L’Italia ha un deficit di personale sanitario, della scuola, dell’assistenza e della Pa, tutti settori a maggioranza femminile.
Colmiamolo! Investiamo nell’imprenditoria femminile, ma non gli spiccioli del Pnrr. E affrontiamo la questione della condivisione dei carichi familiari con una maggiore copertura salariale dei congedi parentali, portando a 3 mesi quello di paternità, con servizi educativi e di assistenza. Non possiamo considerare Opzione donna una soluzione, così penalizzante da poter essere fruita solo da ricche di famiglia o da donne costrette a farlo perché in condizioni disperate. Serve investire nei centri antiviolenza e nei presidi pubblici per combatterla. E soprattutto serve agire per impedire che i figli vengano strappati alle madri in nome
dell’alienazione parentale, una truffa psico-giuridica ancora diffusa, uno spauracchio che impedisce alle donne di liberarsi dei partner e dei padri violenti.
Serve mobilitarci. Se non lo faremo, troppe donne dovranno rinunciare a una cosa fondamentale nella vita di ciascuna: la libertà e l’autodeterminazione.