22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Monica Guerzoni

Il ministro dell’Interno leghista alza il tiro nei confronti degli alleati del M5S: un sì sul caso Diciotti sarebbe un precedente grave

Nelle chiuse stanze del Carroccio lo dipingono «sereno e tranquillo», convinto di non avere nulla da temere perché non ha commesso reati, ha agito «per il bene degli italiani» e con l’accordo dell’intero governo. Eppure l’immagine di Matteo Salvini che si reca di persona a «pesare» i faldoni sul caso Diciotti e prendere le carte, per preparare la sua difesa contro i giudici di Catania che lo vogliono processare, rivela quale sia il rovello che in queste ore assilla il vicepremier. Non tanto l’impuntatura di Luigi Di Maio e compagni sulla Tav, quanto il rischio che il capo del M5S — pressato da Alessandro Di Battista e dalla fronda del presidente Roberto Fico — non regga il peso di una storica inversione sul fronte giustizia. E maturi, dopo un durissimo scontro interno, il sì all’autorizzazione a procedere per il presunto reato di sequestro di persona.

«Sarebbe un precedente grave», è l’altolà che l’uomo forte del governo ha scandito in tv a Quarta Repubblica su Rete4, ricordando agli alleati che una vicenda simile può toccare «al ministro dell’Ambiente o dei Trasporti», non a caso due esponenti del Movimento. I collaboratori lo descrivono determinato e serafico, titolo «io tiro dritto», ma dopo aver parlato a lungo con la ministra Giulia Bongiorno, avvocatessa di chiara fama, Salvini si è reso perfettamente conto di cosa voglia dire rischiare un processo e una condanna in primo grado. Per una volta sente che i sondaggi non bastano a coprirgli le spalle, servono i voti in Parlamento. E l’idea di essere nelle mani dei Cinque Stelle lo fa impazzire. Eppure, per tranquillizzare i suoi, ripete il suo mantra: «Non perdiamo la testa, manteniamo la lucidità». Salvini vuole metterci la faccia nell’Aula del Senato e sta preparando una memoria da scandire davanti ai senatori, alla quale dovrebbero essere allegate le relazioni del premier, di Di Maio e del ministro Toninelli. Ma in Giunta per le autorizzazioni, salvo ripensamenti, il vicepremier non andrà.

I rapporti con gli alleati corrono su un filo di corrente ad altissima tensione. Salvini ha imposto a se stesso e ai suoi la linea di «porgere l’altra guancia», tenere i toni bassi e non rispondere alle provocazioni. Ma i Cinque Stelle hanno preso a tirare la corda con tale forza che ieri l’inquilino del Viminale si è a lungo confrontato con il premier Giuseppe Conte. «Così non la reggiamo — è il senso dell’avviso di Salvini al capo del governo —. Io sono per il dialogo e il buon senso sempre e capisco le difficoltà interne di Di Maio, ma qui mi pare che si stia esagerando». Un monito rivolto indirettamente al vicepremier pentastellato, che lo tiene sulla corda e non scioglie la riserva su come il Movimento voterà sulla Diciotti. «Vogliono mandarmi davanti ai giudici? — si è sfogato con i collaboratori Salvini —. Forse non hanno capito quali conseguenze avrebbe un voto contro il governo».

Se il caso Diciotti non bastasse, anche gli insulti di Alessandro Di Battista stanno mettendo a dura prova i nervi del «Capitano» leghista, che ora comincia a pressare il capo politico del M5S perché si faccia carico del problema. Affermare che l’ex deputato tornato dal semestre sabbatico in Centro America non ha incarichi di governo né poltrone in Parlamento non basta più, Salvini lo ha detto chiaro: «Se qualcuno continua a darmi del rompicoglioni le cose si fanno complicate». A quanto filtra dai due partiti, il segretario della Lega lo avrebbe detto al telefono anche a Di Maio, con il quale non si vede faccia a faccia da molti, moltissimi giorni. Per Salvini è il ministro del Lavoro che deve rimettere il treno del governo sul binario giusto, perché è il suo Movimento che si sta assumendo il rischio di farlo deragliare. Sì, ma come? Dicendo no ai giudici sulla Diciotti? Nell’ufficialità i leghisti si sgolano per negare scambi tra la Tav e il voto sulla nave Diciotti, ma nel governo tanti ne parlano senza grandi pudori. E spiegano così la divisa istituzionale e i toni pacati del Salvini di queste ore, che non strappa, non strilla e si sforza di nascondere quanto sia preoccupato e furioso.

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