Oggi non si va solo verso l’import in Italia di automobili cinesi (ma non solo), per ironia della storia si va verso la fabbrica in Italia di prodotti cinesi con manodopera italiana
Difesa e dazi. Tra queste due parole, parole che si pensava fossero ormai uscite dal nostro vocabolario, tra queste due parole ruota oggi il destino dell’Europa, tra evoluzione, verso una forte e nuova entità politica, o lenta e progressiva dissoluzione, come è stato al principio del ‘900, se pure su scala minore, con la lenta sofferta decadenza dell’esperimento «federale» austro-ungarico.
A partire dal 1992, con il «Trattato di Maastricht» una nuova Europa veniva a proiettarsi nel mondo globale che allora si apriva. E dentro questo, per sua espressa scelta, l’Europa si presentava come un continente senza difesa e senza dazi, così perfettamente integrando tanto al suo interno quanto verso l’esterno, la nuova arrembante e vincente utopia del mercato.
È stato così, ed è per questo, che da allora in Europa sono state via via quasi del tutto smantellate le strutture militari. Ed è così ed è per questo che in Europa sono stati via via aboliti i dazi. Si pensava infatti che il nuovo mondo, pacificato dal mercato, rendesse ormai inutili le prime e dannosi i secondi.
Ma non era così nel resto del mondo e certo non è stato e non è così negli USA ed in Cina. USA e Cina mai hanno infatti esaurito nel mercato la loro essenza politica. Anzi!
Difesa. Nel luglio del 2003, più o meno dieci anni dopo Maastricht, più o meno venti anni fa, questa drammatica asimmetria fu evidenziata nel Parlamento europeo, a Strasburgo, nel testo del «Programma di attività della Presidenza italiana». Un programma dove era scritto: «Nessuna diplomazia, nessuna politica nella storia ha mai avuto successo se non sostenuta da una adeguata potenza militare». Fu questa la sede in cui furono proposti gli eurobond, per finanziare tanto le infrastrutture europee quanto l’industria militare europea.
Da allora, e poi per un intero ventennio, nulla in questo senso è stato poi fatto o detto. Anzi, è stato l’opposto.
La «Difesa». Negli ultimi anni, nell’età della pace, le leve militari sono state via via eliminate o sospese in tutta Europa (la leva militare obbligatoria è rimasta solo in Russia e naturalmente in Ucraina).
Oggi le leve militari stanno tornando. Un esempio: a grande maggioranza, i delegati al congresso della CDU tedesca (questa la forza politica data per vincente nelle prossime elezioni) hanno votato a favore di una graduale reintroduzione del servizio militare obbligatorio per rafforzare le forze armate, a fronte della minaccia russa.
Si noti che, su di una popolazione pari a circa 82 milioni di abitanti, la Bundeswehr conta oggi solo su 180.000 unità, un numero ritenuto insufficiente (si noti che, su di una popolazione pari a circa 59 milioni di abitanti, le forze armate italiane contano oggi su circa 170.000 unità).
Sul Corriere (30 dicembre 2023) mi è capitato di fare un esempio: «se vai in un bar od in una birreria – tutti questi luoghi certamente democratici – se ci vai e dici che all’Europa serve il MES, non vi capiscono. Se cominciate dicendo che servono una difesa europea ed un esercito europeo, è invece probabile che vi paghino da bere!».
Questo è confermato nell’ultimo sondaggio pan-europeo: tre quarti dei cittadini europei vuole infatti più difesa!
I «Dazi». Oggi, al termine della globale «pace dei trent’anni», il dibattito europeo pare indirizzarsi verso nuove «riforme». Come sacerdoti cui è stato profanato il tempio, alcuni di quelli che sono stati protagonisti del passato oggi, e senza recitare un forse necessario «mea culpa», oggi si candidano a scrivere il futuro, ma ancora partendo dal lato sbagliato: ancora dal lato del mercato perfetto, dal lato della concorrenza pura e simili.
Il tempo che oggi stiamo vedendo e vivendo ci sta tuttavia portando verso diverse e più forti attualità.
Nel corso del passato trentennio in Europa i dazi sono stati demonizzati e perciò quasi del tutto eliminati. Era questa, tra l’altro, la forma di applicazione di una geniale e fatale intuizione politica fatta dai nuovi riformatori: la fabbrica in Cina, in Europa i servizi!
Oggi è l’opposto, oggi non si va solo verso l’import in Italia di automobili cinesi (ma non solo di automobili, anche di batterie, di pannelli solari e di tanto altro), per ironia della storia si va verso la fabbricazione in Italia di prodotti cinesi con manodopera italiana. Così che oggi può forse essere utile ricordare la previsione sull’arrivo de «Il fantasma della povertà», era il 1995, l’anno dopo il «World Trade» del 1994. E può essere saggio sperare che ora l’Europa faccia sui dazi come fanno gli USA e la Cina, per evitare, fino a che si è in tempo, che quel fantasma porti con sé la rottura del nostro ordine sociale.