Possibile spendere senza i vincoli del patto di Stabilità. Ma bisogna agire subito, siamo già in ritardo>
Et voilà, non si applica il patto di Stabilità. Quasi accompagnata da un compiaciuto sorriso, questa sembra essere, nella classe politica italiana, una reazione diffusa alla disponibilità della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen a disapplicare per le spese destinate alla Difesa le norme comunitarie che ci vietano di aumentare il nostro deficit.
Questo deficit da noi supera già il 3% del Prodotto interno lordo. Dal 2014 gli Stati membri della Nato si erano prefissi l’obiettivo di portare le uscite per le forze armate e gli armamenti al 2% del Pil di ciascun Paese. L’Italia è tra quanti sono indietro. L’anno scorso, arrancando, per la Difesa è riuscita a raggiungere una spesa dell’1,54%. Nel frattempo Donald Trump ha indicato come indispensabile un traguardo più che doppio, il 5%. Secondo tanti è un livello irrealistico, e tuttavia al momento è pur sempre un’indicazione del presidente degli Stati Uniti, il socio maggiore dell’Alleanza Atlantica alla quale dobbiamo dal 1949 la nostra sicurezza. E la politica italiana che fa?
Il governo tira un sospiro di sollievo, l’opposizione si volta dall’altra parte e rispolvera parole d’ordine su altri temi. La rimozione della realtà è abitudine che sta prendendo piede sempre di più. L’Europa ha a che fare con una guerra arrivata al suo interno, l’invasione russa dell’Ucraina, e una non molto lontano da sé, il conflitto di Gaza attualmente solo sospeso. Trump si muove come chi tenderebbe a spartirsi sfere di influenza con il Cremlino emarginando i rappresentanti dell’ Unione Europea. E da noi delle spese della difesa si parla il minimo possibile.
Quasi nessuno, per esempio, che constati un aspetto della realtà: mentre il nostro esorbitante debito pubblico ha raggiunto il 138,4% del Pil, se le parole di von del Leyen non troveranno consistenti obiezioni il nostro Paese sarà autorizzato a dilatarlo. Forse per la difesa è l’unica soluzione possibile, se non si vogliono ridurre le spese dello Stato con ripercussioni su servizi come la sanità o il pubblico impiego. Ma pur ammettendo che se da una parte può essere uno scampato pericolo, dall’altra è un permesso di caricare altro debito sulle spalle delle nuove generazioni.
In un mondo meno assestato di prima, l’Ue è la famiglia che sta iniettando nella nostra economia nazionale i 1.944,4 miliardi di euro per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quello più finanziato dell’intera Unione, da spendere entro metà 2026. Dopo, ci troveremo a non avere più questo straordinario sostegno e a dover fronteggiare maggiori uscite per la Difesa.Il segretario generale della Nato Mark Rutte dà per scontato che nel prossimo vertice dell’Alleanza in giugno all’Aja andrà definito un obiettivo più alto del 2% perché la spesa deve arrivare a «molto, molto, molto di più» del 2%. Per avere un’idea di quanto sforzo comporta, ecco che cosa ammise davanti alle commissioni di Camera e Senato, il 7 novembre 2023, il ministro della Difesa Guido Crosetto: «Siamo molto lontani dal 2%, un obiettivo impossibile per il 2024, ma se devo essere sincero con voi, e lo sono sempre, difficile anche per il 2028». Lo stato del mondo ha reso inattuale una flessibilità del genere.
È adesso il tempo di agire, e si è già in ritardo. Il nostro Paese ha interesse a far sì che l’incremento delle spese per la Difesa sia coperto con debito europeo. Non solo perché ciò aiuta a contenerci, ma perché è in sede europea che le spese possono essere meglio coordinate per evitare doppioni costosi e superflui e per gettare le basi di una difesa comune quanto mai indispensabile. Il ritardo nella quantità ci sta facendo perdere di vista l’importanza della qualità della spesa. L’opportunità da cogliere sta nella insolita disponibilità di Paesi cosiddetti «frugali» — diffidenti verso gli elevati debiti pubblici e allo stesso tempo più preoccupati di un espansionismo russo perché più vicini alla Russia — verso forme di finanziamento comuni. A comandare le braccia in armi, anche soltanto per garantirsi sicurezza grazie alla deterrenza, non possono che essere le menti. Questo dunque richiede convergenza tra formazioni italiane nel favorire uno sviluppo dell’integrazione politica tra i 27 Stati membri dell’Unione, uno snellimento dei suoi meccanismi decisionali. La pace si difende così, non voltando la testa dall’altra parte o declamando velleitari proclami slegati dalla realtà della storia e delle sue accelerazioni.