Il Disaster Risk Management Knowledge Centre (DRMKC) del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea ha pubblicato a ottobre 2022 uno studio con l’obiettivo di accendere un faro sulla vulnerabilità ai disastri naturali dei paesi europei e rappresenta un primo tentativo per indagare, attraverso la definizione di un indice, le possibili evoluzioni. Il DRMKC ha sede nel JRC di Ispra, alle porte di Varese, dove è stato realizzato un laboratorio europeo che, grazie a una impressionante ricchezza di dati, consente la gestione in tempo reale delle crisi provocate da disastri naturali.
Basato prevalentemente su dati di Eurostat (ma anche World Bank, Corine, Università di Göteborg e UNESCO), l’indice è stato recentemente aggiornato ed è consultabile tramite il tool pubblicato sul sito dedicato del Risk Data Hub.
Dallo studio emerge come in Europa l’Italia sia il paese più vulnerabile alle catastrofi naturali, insieme a Bulgaria, Romania e Grecia. Tuttavia, mentre in prospettiva le cose negli altri tre paesi appaiono in lento miglioramento, in Italia la situazione sembra destinata a rimanere stabile. Questi quattro paesi sono pertanto classificati ad “alta vulnerabilità, stabile nel tempo”, mantengono cioè un’elevata vulnerabilità per tutto il periodo coperto dallo studio, 2005-2035.
Italiani sono anche altri due primati: la regione più fragile del continente è la Calabria e la provincia è Reggio Calabria.
Cosa si intende con vulnerabilità ai disastri naturali
È bene spiegare cosa misura e a cosa serve questo indice, da poco presentato a Ispra. La vulnerabilità è una delle tre componenti di rischio considerate nel DRM (Disaster Risk Management) insieme ai pericoli e all’esposizione agli stessi pericoli. La stima del rischio – spiega il JRC – consiste essenzialmente nel valutare i possibili impatti di determinati pericoli naturali (terremoti, erosione del suolo, inondazioni, siccità…) sui beni esposti a tali pericoli e ponderare la vulnerabilità di tali asset.
Non tutti i beni, i sistemi o le comunità con lo stesso livello di esposizione a un pericolo specifico sono ugualmente a rischio: la vulnerabilità, perciò, è fondamentale per determinare il livello di rischio. Asset molto esposti possono avere una vulnerabilità molto bassa, quindi essere considerati a basso rischio: in una zona sismica un edificio tradizionale è più vulnerabile di uno costruito con criteri antisismici.
Per queste ragioni, dunque, la vulnerabilità è la componente fondamentale di cui tener conto nella definizione delle politiche e delle azioni per la riduzione del rischio di catastrofi. Ridurre la vulnerabilità e l’esposizione dei territori e delle comunità è la via più efficace per ridurre il rischio, dal momento che non è sempre possibile ridurre la gravità e la frequenza dei pericoli naturali. Ancora di più, se si considerano gli impatti dei cambiamenti climatici.
La funzione dell’indice e della mole di dati sottostante è anche quella di aiutare gli amministratori a prendere le decisioni. Per ridurre la vulnerabilità è necessario identificare e affrontare i fattori di rischio quasi sempre derivanti da scelte e pratiche di sviluppo economico e urbano inadeguate, e legati al degrado ambientale, alla povertà, alla disuguaglianza e alle istituzioni deboli. I governi possono applicare strategie e politiche per ridurre la vulnerabilità introducendo misure precise, progettate per ridurre sia la componente “indipendente dal pericolo” (dovuta essenzialmente all’azione dell’uomo) che quella “dipendente direttamente dal pericolo” (legata agli eventi naturali).
In particolare, la vulnerabilità indipendente dal pericolo, su cui si concentrano gli indici costruiti dal JRC, tiene conto degli ostacoli che indeboliscono le capacità di un sistema o di una comunità di resistere alle sollecitazioni poste da qualsiasi pericolo. Descrive la suscettibilità a potenziali perdite o danni delle comunità indipendentemente dalla loro esposizione ai vari pericoli. Si basa su molteplici fattori che caratterizzano una comunità situata in un determinato territorio, fattori classificati in quattro dimensioni principali: sociale, economica, politica e ambientale. Per fare un esempio, nel 1980 le vittime del terremoto in Irpinia sarebbero state molte di meno se le abitazioni fossero state più resistenti, se i soccorsi fossero arrivati immediatamente e fossero stati bene organizzati.
Vulnerabilità politica: il punto debole dell’Italia
Come è possibile verificare dalle mappe interattive, l’Italia presenta valori mediamente elevati in tutte e quattro le dimensioni considerate. Tuttavia la dimensione politica pare avere particolare influenza sulla vulnerabilità totale del paese, dato condiviso con Bulgaria, Grecia, Croazia a parzialmente la Slovacchia. La dimensione viene valutata sulla base di tre indicatori: efficienza del governo, stabilità politica e strategie nazionali di adattamento (per esempio impegno e predisposizione mentale nell’attuare strategie per la riduzione dei rischi da disastri) e qualità dei governi regionali. Sicuramente la vita media dei governi italiani, inferiore ai due anni dal 2005 ad oggi, spiega la maggiore vulnerabilità politica rispetto alla media europea e condiziona l’efficienza stessa dei governi.
“L’analisi statistica (basata sulla Principal Component Analysis) – spiegano i ricercatori del JRC – ci dice che nel tempo i fattori socio-economici e politici sono quelli che più influenzano la vulnerabilità dell’Italia (quindi, non possono essere considerati separatamente). Tra di loro, la dimensione politica è quella che spiega la maggior parte della variabilità dei dati per l’Italia. Tuttavia, ciò non significa che sia necessariamente il fattore più importante che determina la vulnerabilità complessiva. Sarebbe necessaria un’ulteriore analisi per valutare in modo specifico come le tre dimensioni influenzano effettivamente la vulnerabilità complessiva”.
Trend di vulnerabilità in crescita, ma anche segnali positivi
In generale, l’analisi del trend generale a livello europeo mostra un leggero aumento della vulnerabilità nel tempo. Ciò è dovuto soprattutto al peggioramento dei paesi europei storicamente meno vulnerabili, a fronte della relativa stabilità dei paesi da sempre più fragili. Inoltre, i paesi storicamente meno vulnerabili mostrano prospettive più negative nei prossimi anni rispetto agli altri, restando tuttavia meno fragili.
Un segnale positivo arriva da un gruppo di sei paesi, Portogallo, Spagna, Ungheria, Polonia, Lituania e Lettonia: pur essendo storicamente molto vulnerabili, tutto lascia prevedere che riescano a diventare più sicuri nell’arco del periodo considerato, cioè entro il 2035.
A ciò si aggiunge il fatto che, malgrado i diversi eventi negativi che hanno investito l’Europa negli ultimi 15 anni, come per esempio la crisi economica di fine anni ’10, la Brexit e il COVID-19 per citarne alcuni, i paesi maggiormente vulnerabili sembrano mantenere costante la loro vulnerabilità e non l’aumentano ulteriormente, dimostrando, nonostante tutto, una certa resilienza.
La vulnerabilità delle regioni e province italiane alle catastrofi naturali
I dati resi disponibili dal JRC comprendono anche i livelli regionale e provinciale. Ci siamo concentrati sulla situazione delle regioni italiane. Nel 2022 la regione europea più vulnerabile in assoluto era la Calabria, seguita dalla Ciudad de Melilla (città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco) e poi da Campania e Sicilia. La mappa riproduce più o meno le stesse dinamiche già osservate nelle altre puntate della serie di Lab24 dedicata alle regioni europee.
Il Friuli-Venezia Giulia è la regione italiana meno vulnerabile, seguita a ruota da Liguria e Provincia di Trento. Ma il confronto con il resto d’Europa è abbastanza disarmante: per trovare il primo nome italiano bisogna scorrere qualche centinaio di posizioni. La regione di Stoccolma è quella con l’indice di vulnerabilità più basso. Nella classifica delle province, il poco invidiabile primato è di Reggio Calabria e dei primi 30 nomi più della metà sono di altre province italiane, prevalentemente del Mezzogiorno, ma non solo: ci sono anche Latina, Frosinone, Fermo, Pesaro-Urbino, Pescara, solo per citarne alcune.
Nel confronto rispetto alla media nazionale, sorprendono alcune situazioni specifiche. In positivo la Puglia, il cui indice è in costante e moderata discesa sotto la media italiana, come la Val d’Aosta. In miglioramento anche la Sicilia. Nessun progresso, invece per la Calabria, mentre sono in netto peggioramento Trento e Bolzano che partivano da situazioni molto virtuose.
Il peso della dimensione sociale nella provincia italiana
Dai dati su base provinciale emerge un aspetto rilevante. Le aree più vulnerabili pagano soprattutto la fragilità economica e ambientale (in Calabria 4 province su 5 segnano il massimo di vulnerabilità ambientale), mentre l’indicatore di vulnerabilità sociale vede livelli molto bassi in tante province del Sud, della Sicilia e della Sardegna.
Il record negativo spetta a Prato, ma appena sotto ci sono Milano e Monza-Brianza. Poi Trieste, Roma e Genova. Considerato che la dimensione sociale dell’indice “illustra le condizioni degli individui e dell’intera popolazione in relazione a demografia, salute, interazioni sociali e istruzione”, forse non è azzardato dedurre che l’Italia è un paese in cui vivere non è poi così male. Nonostante tutto.