In nessun altro Paese Ocse lo svantaggio retributivo delle laureate è tanto forte: da noi le donne guadagnano in media il 42 per cento in meno degli uomini contro una media internazionale del 17 per cento
La proposta Franceschini di dare per legge ai figli il cognome della madre ha avuto il pregio di riaprire brevemente il dibattito sul tema della diseguaglianza di genere, che di questi tempi non sembra essere all’ordine del giorno. Rispetto alla soluzione prospettata dall’ex ministro ci sarebbe però un modo più semplice (perché non richiede interventi legislativi), più inclusivo (perché non esclude chi non ha figli) e soprattutto più tangibile, per cercare di risarcire le donne. Farlo in moneta sonante.
Intervenendo direttamente sugli stipendi delle lavoratrici che, più o meno nell’indifferenza generale, continuano a guadagnare molto meno degli uomini. Intendiamoci, quello del gender pay gap non è un problema solo italiano, c’è un po’ ovunque. Ma da noi diventa addirittura clamoroso nel caso delle laureate, che sono in media più veloci e più brave sia a scuola che all’università, ma appena cominciano a lavorare vengono superate da destra e da sinistra dai loro colleghi maschi e – come nel paradosso di Achille e della tartaruga – nonostante il «pié veloce» dimostrato negli studi, non riescono più a raggiungerli. In nessun altro Paese Ocse lo svantaggio retributivo delle laureate è tanto forte: da noi le donne guadagnano in media il 42 per cento in meno degli uomini contro una media internazionale del 17 per cento.
E no, non è vero che questa disparità dipenda solo dal fatto che le donne scelgono percorsi di studio meno remunerativi degli uomini – lettere invece di ingegneria, per capirci. Perché anche quando decidono di avventurarsi in un corso di laurea scientifico, comunque finiscono per guadagnare in media il 12,6 per cento in meno dei laureati maschi nelle stesse discipline. A cinque anni dalla fine degli studi, una laureata in una qualunque materia Stem (scienze, tecnologia, ingegneria o matematica) guadagna 1.798 euro netti al mese contro i 2.025 di un uomo. Purtroppo quello che, a fine mese, fa la differenza in busta paga non è il cognome (che sia del padre, della madre o di entrambi): è il nome.