29 Novembre 2024

Le tensioni tra alleati rischiano di frenare l’azione del governo proprio mente in Europa Meloni ha segnato un punto

Non c’è nulla di più insidioso per un governo di una baruffa strumentale tra i partiti di governo. E non per gli effetti politici che la lite produce ma per i danni che questa miscela corrosiva provoca nel rapporto con l’opinione pubblica. È chiaro che lo scontro dell’altro ieri in maggioranza non mette in discussione la stabilità dell’esecutivo e dell’alleanza, ma comporta intanto la perdita di una piccola quota del credito che i cittadini ripongono in chi è chiamato a risolvere i problemi e non a crearli. Giorgia Meloni è consapevole di questa condizione, primo stadio di una difficoltà che, se non venisse affrontata e risolta rapidamente, causerebbe danni molto più seri. Perché la dinamica del braccio di ferro nel centrodestra esplicita come le relazioni politiche siano prive della solidarietà che dovrebbe invece accomunare forze alleate. È evidente infatti che il taglio di venti euro del canone Rai proposto da Matteo Salvini non fosse la riduzione delle tasse che il Paese si aspetta. Semmai è parso un gesto teso a provocare il fallo di reazione di Forza Italia, perché il tema delle tv ha evocato il conflitto d’interessi e lo ha scaricato sul partito di Silvio Berlusconi sorretto oggi dai suoi eredi.
La reazione c’è stata ed è così che si è prodotto il cortocircuito in Parlamento: per la prima volta dopo due anni di governo, Meloni ha visto la sua maggioranza dividersi in un voto. E questi derby, di piccolo o grande cabotaggio a seconda delle opinioni, tolgono energie alla coalizione e distolgono l’attenzione dell’esecutivo dalle prove che lo attendono. Di più. Per Meloni inducono i cittadini a pensare che «ci risiamo», che anche stavolta sia come tutte le altre volte. Perciò la presidente del Consiglio vuole intervenire per non far passare questa tesi che considera una minaccia più di quanto oggi non le appaiano le battaglie dell’opposizione. Ma imporre una linea che sia condivisa dagli alleati vuol dire avere una soluzione che li soddisfi. Non è un problema di poltrone. Oggi il governo deve fare i conti con tre riforme che per ragioni diverse sono ancora ferme: dal premierato all’autonomia regionale, fino alla revisione del sistema giudiziario.
Lo stallo è una forma di disimpegno per i partiti che finiscono per concentrarsi su altri temi alla ricerca della visibilità. E la situazione è evidente: i leghisti hanno una posizione eccentrica rispetto agli alleati ed entrano quotidianamente in rotta di collisione con gli azzurri, impegnati a contendergli il titolo di seconda forza della colazione. Certo, nessuno può rompere. Ma il punto è anche che nessuno vuole cedere. Insomma, la crisi non è contemplata e tuttavia prosegue il bradisismo nella maggioranza.
Senza un accordo che faccia cessare le ostilità interne, i danni maggiori alla lunga li subirebbe Meloni. Ora, non si sa quale forma di compromesso possa offrire la presidente del Consiglio. Di sicuro il modello adottato in Europa si è rivelato vincente. È questo il paradosso per la premier, che fatica in Italia mentre accumula risultati in politica estera. Nelle stesse ore dello scontro che ha diviso la maggioranza, infatti, Meloni poteva rivendicare la nomina di Raffaele Fitto a vice presidente esecutivo della Commissione Europea. L’esito della trattativa è stata insieme la prova di un formidabile gioco di squadra nazionale (che ha coinvolto anche il capo dello Stato) e un successo diplomatico per il governo. È stata la smentita alla teoria secondo la quale con Meloni a palazzo Chigi l’Italia sarebbe rimasta isolata nel Vecchio Continente.
Tutto vero. Come resta agli atti la grave sgrammaticatura parlamentare della maggioranza. La rottura non può essere elevata a un passaggio che segna l’inizio della fine per il governo, ma non può nemmeno essere derubricata a questione secondaria. Per prima non lo accetta l’opinione pubblica, che attende di conoscere il profilo della futura legge di Bilancio. Ogni settore è alle prese con difficoltà e urgenze, vista la congiuntura economica. E non si possono chiedere sacrifici ai cittadini mentre i partiti di governo litigano su venti euro.

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