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Nel 2024 su 14 lotti Consip 12 associati a prodotti informatici statunitensi

Con la gara Multibrand del 2024, Consip ha calcolato un massimale di spesa pari a 539 milioni di euro per l’approvvigionamento di licenze software per 12-36 mesi alla Pubblica amministrazione. Valori elevati anche nel 2023, quando l’esborso massimo preventivato ammontava a 435 milioni. Difficile invece quantificare il giro d’affari nel privato per le protagoniste di questo business: le grandi aziende Usa del tech che ormai dominano il mercato italiano con programmi informatici e infrastrutture digitali. In particolare Ibm, Oracle, Cisco, Adobe, Dell, VMware by Broadcom, per citare quelle più influenti per fatturato e controllo internazionale del settore It, cui sono da aggiungere una costellazione di società più piccole e settoriali.
Si pensi che sui 14 lotti della gara Consip dello scorso anno, ben 12 sono associati a prodotti informatici di queste e di altre aziende statunitensi, con forniture richieste da ministeri ed enti locali, come Regioni e Asl.
Nel resto della Ue le cose non vanno in modo diverso. Secondo la rivista economico-finanziaria Fortune, l’Europa è il più grande mercato accessibile al di fuori degli Stati Uniti, rappresentando il 27-30% della spesa globale in software e un Pil di oltre 20 trilioni di dollari. Un indicatore ancora più significativo dell’importanza dell’Europa è il suo contributo ai ricavi globali. Cui va aggiunto il grande business del cloud.
Secondo le statistiche della Commissione Ue, quasi la metà delle imprese europee e delle amministrazioni pubbliche si affida a servizi cloud, un mercato guidato da Amazon, Microsoft, Google, Oracle, Salesforce e Ibm, tutte con sede negli Stati Uniti. In Italia lo stesso Polo strategico nazionale (Psn) – controllato da Tim, Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti (tramite Cdp Equity) e Sogei – utilizza gli applicativi Google Assured Workload e Oracle Alloy.
La forza delle società americane sta nel numero dei Data center (edifici che custodiscono i server su cui viaggiano e si conservano i dati del cloud). Secondo un report dell’8 aprile scorso di Barclays – che cita dati della piattaforma Cloudscene – circa il 50% dei Data center a livello globale si trova negli Usa, «di conseguenza una gran parte dei dati europei è archiviata negli Stati Uniti e/o ospitata da aziende statunitensi» anche al di fuori dei confini americani.
Per questo a Bruxelles si valuta con molta attenzione l’ipotesi di un bazooka economico sul tech Usa in risposta alla minaccia dei dazi sulle importazioni europee. Gli effetti sarebbero dirompenti sulle aziende di settore americane. Un’estrema ratio che, se messa sul tavolo delle trattative in questi 90 giorni di moratoria, potrebbe fungere da deterrente alla politica finanziaria aggressiva di Donald Trump. Per gli analisti di Barclays, infatti, «si è osservato come la Commissione europea e alcuni Stati membri dell’Ue abbiano segnalato la possibilità di rispondere ai dazi imposti dagli Stati Uniti prendendo di mira i prodotti digitali delle grandi aziende tecnologiche americane». In particolare, sul fronte del cloud, con l’Ue che «potrebbe richiedere che i dati vengano trasferiti in Data center di proprietà europea e situati in Europa, soprattutto perché, secondo la giurisdizione statunitense, le autorità Usa possono richiedere l’accesso ai dati ospitati da aziende americane anche se fisicamente situati al di fuori degli Stati Uniti».
Un magma che potrebbe produrre non solo una nuova tassazione ma anche una nuova politica sul cloud a vantaggio delle aziende europee. Lo dicono gli analisti di Barclays: «Ciò potrebbe favorire gli operatori di telecomunicazioni europei che possiedono asset in questo settore e che stanno aumentando gli investimenti» nell’ottica della sovranità digitale, come la francese Orange, la tedesca Deutsche Telekom e l’italiana Tim (con la controllata Noovle), che hanno infrastrutture cloud e gestiscono Data center in Europa.

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