22 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post
di Carlo Renda

Una ittoria clamorosa<, un trionfo che può segnare una svolta epocale nella storia. La via da percorrere per raggiungere la Casa Bianca era strettissima, ma Donald Trump l’ha sfondata come un caterpillar, prendendosi praticamente tutti gli Stati in bilico.
“Io non sono un politico. I politici parlano ma non agiscono. Io sono il contrario” disse all’inizio della corsa presidenziale. Mai come questa volta si può parlare di un “self made president”. Si è fatto da sé come imprenditore di successo – dai borough del Queens alla Trump Tower della Manhattan più glamour – tanto ricco quanto discusso. Si è conquistato da solo la presidenza degli Stati Uniti, spazzando via tutto e tutti: non aveva al suo fianco l’establishment del Partito Repubblicano, mai così freddo con un suo candidato, tentato addirittura di abbandonarlo nel corso della campagna. Non ha mai avuto al suo fianco la stampa, ostile al punto di demonizzarlo tanto in patria quanto all’estero. Non ha avuto il sostegno delle cancellerie estere e degli operatori finanziari internazionali, che salvo rare eccezioni hanno sostenuto la corsa di Hillary Clinton. Ha fatto a meno della spinta dei vip americani, attivissimi negli endorsement a favore dell’ex first lady per tutta la durata della campagna elettorale e fino all’ultimo giorno. Non ha potuto contare sul presidente uscente Barack Obama e anche questa si è rivelata un’arma a suo favore, perché gli Usa hanno voltato le spalle all’esperienza democratica.
La vittoria di Trump fa letteralmente saltare il banco. Ha smentito le previsioni dei sondaggisti, che lo hanno visto sempre indietro, pur registrando una rimonta nelle ultime settimane, a dimostrazione ancora una volta dell’incapacità dei sondaggi di leggere fino in fondo gli umori della gente, negli Stati Uniti come altrove in passato. Ha cancellato mesi di campagna attiva della stampa americana e internazionale, mai così schierata in una corsa presidenziale e mai così compatta a sostegno di Hillary Clinton: solo due testate statunitense si sono schierate con il candidato repubblicano, contro 57 esplicitamente al fianco della candidata democratica, il numero di endorsement più basso per un candidato nella storia americana. Anche per la stampa sorge un interrogativo quasi esistenziale sulla capacità di analisi del sentiment popolare, sulla lettura del malcontento delle aree rurali, delle zone industriali, della working class sempre più impoverita e ansiosa di cambiamento.
Il trionfo di The Donald è una sconfitta cocente per Hillary Clinton, che si è rivelata un candidato debole e poco amato. Si dice negli Usa che per vincere un candidato deve essere empatico, deve risultare simpatico e vicino alla gente: questo non è mai riuscito a Hillary, ma non è solo questo. Hillary è stata considerata come il vecchio, la continuità, l’establishment, è stata considerata Clinton III, esponente della Dynasty che ha già eletto due volte il marito Bill. La sua sconfitta è anche e soprattutto il fallimento politico di Barack Obama e della sua avventura politica nata sotto il segno del “change”. Un cambiamento che diede la vittoria all’outsider del 2008, ma che l’America profonda (e non solo) non ha visto nelle proprie tasche e non immagina nel proprio futuro.
Donald Trump si è fatto largo con posizioni estreme, che non hanno spaventato l’elettorato. Estreme contro i migranti, dal muro al confine col Messico ai controlli severissimi sui musulmani. Estreme in economia, con la promessa di una riduzione generale delle tasse, specie per le aziende, e l’abolizione dell’Obamacare da sostituire con una soluzione mercatistica, con la riduzione delle regolamentazioni e un piano per l’aumento dell’occupazione, con la battaglia contro le delocalizzazioni delle grandi aziende e la revisione dei grandi accordi commerciali in chiave anti-globalizzazione. Estreme in politica estera, con una mano tesa alla Russia di Vladimir Putin ma anche con l’intenzione di ridurre il peso degli Usa come gendarme del mondo. Nemmeno le sue posizioni sconce e imbarazzanti sulle donne o le affermazioni indigeribili per i latinos hanno interrotto la sua corsa. Neanche le indiscrezioni sui suoi problemi con il fisco hanno scalfito a sufficienza la sua immagine.
Trump ha trionfato nelle aree del Paese a forte presenza di elettori bianchi, mentre Clinton non è riuscita ad attirare i voti delle minoranze che furono la chiave dei successi di Obama. Analizzando gli exit poll, il Washington Post sottolinea come Clinton abbia registrato un vantaggio di 54 punti tra gli elettori non bianchi, un vantaggio enorme ma inferiore a quello registrato da Obama, il 61%. Al contrario Trump ha ottenuto il 60% del voto degli uomini bianchi, ed ha vinto anche tra le donne bianche, ottenendo il 52%. E nonostante gli scontri intestini della campagna elettorale, il tycoon avrebbe conquistato l’88% del voto repubblicano, con il massiccio 78% degli evangelici.
Alla Casa Bianca va Donald Trump e il nuovo presidente non deve ringraziare nessuno. Con il Congresso in mano repubblicana avrà mano libera per incidere profondamente sugli Stati Uniti d’America. Avrà davanti un paese lacerato e in una profonda crisi sociale che, se non saprà ricucire, rischia di diventare dirompente. L’8 novembre 2016 è definitivamente una data che può stravolgere la storia.

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