Fonte: La Repubblica
di Cristina Nadotti
Il Censis: in casa le donne lavorano quattro ore in più dei maschi. I mariti dedicano lo stesso tempo delle mogli alla cura personale
Anche lo stereotipo che le donne passano davanti allo specchio più tempo degli uomini è caduto, le cifre sono sempre più chiare: le italiane lavorano di più, sono pagate meno e il peso degli impegni familiari è soprattutto sulle loro spalle, soltanto nelle ore dedicate alla cura personale il divario è colmato. Due studi elaborati dal Censis e dall’Ocse confermano che il nostro Paese resta fanalino di coda in Europa nel superare le differenze di genere.
Sulla base dei dati Istat, il Censis ha stabilito che in una giornata, calcolata sulla media di una settimana, uomini e donne tra i 25 e i 64 anni dedicano alla cura personale il 46 per cento del loro tempo ( la differenza è di 0,2 punti percentuali e nelle 11 ore circa è compreso il riposo notturno). Il resto della giornata media vede le donne avere un’ora in meno di tempo libero, quasi quattro ore in più di lavoro familiare e circa due ore in meno di occupazione retribuita. E anche se non lavorano fuori di casa, le donne impiegano per gli spostamenti soltanto 17 minuti in meno degli uomini, tempo trascorso in auto o sui mezzi che si suppone serva ad accompagnare bambini e genitori anziani.
L’Ocse conferma che gli uomini italiani sono ancora poco collaborativi nei lavori domestici e dedicano ad aiutare le partner soltanto 100 minuti in media al giorno. Si registra meno condivisione del lavoro domestico soltanto in Turchia, Portogallo e Messico, Paesi che certo non brillano per emancipazione femminile. “Queste cifre non stupiscono, è acclarato che siamo ben distanti dagli obiettivi che ci eravamo dati dieci anni fa all’interno dell’Ue – commenta Carmen Leccardi, docente di sociologia all’Università di Milano Bicocca e responsabile scientifica del Centro interuniversitario culture di genere – ed è molto difficile che la situazione possa cambiare a breve con un welfare deficitario come quello italiano”. Non stupisce neanche che il rapporto del Censis confermi la differenza tra le retribuzioni di italiane e italiani, con le donne che nel settore privato percepiscono salari inferiori del 19,6 per cento. Neanche lo Stato pensa ad annullare le differenze, poiché le occupate nel settore pubblico guadagnano il 3,7 per cento in meno dei colleghi maschi. “Il gender gap è desolante – dice Leccardi – però dobbiamo guardare oltre la semplice monetizzazione del lavoro femminile e valutare che l’eccellenza raggiunta dalle donne nell’impegnarsi su più fronti diventerà una risorsa. La loro visione dei tempi della vita è più completa, più ricca, riescono a indicare al resto del mondo che lavori come quelli di cura possono aiutare le attività produttive a fiorire. Nel mondo che verrà, dove ci saranno sempre più anziani, le competenze delle donne saranno strategiche”.
Intanto, però, proprio per i loro impegni su più fronti le donne accettano il part time più spesso degli uomini e siamo il terzo Paese in Europa, dopo Grecia e Cipro, per donne in part time involontario (60,3 per cento). Complice la crisi economica, nel 2016 siamo al penultimo posto in Europa per occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni con il 48 per cento, peggio fa soltanto la Grecia, la migliore, come sempre è la Svezia, con il 74,9 per cento. Il tasso di disoccupazione femminile in Italia è del 12,6 per cento, contro una media europea dell’8,8 per cento, ma a colpire è anche la percezione delle scarse possibilità di avanzamento nella professione delle donne lavoratrici.
Si è detto in disaccordo con l’affermazione “Il mio lavoro offre buone prospettive di carriera” il 53 per cento delle donne interpellate e anche in questo caso le italiane sono le più sfiduciate in Europa. Pesa molto su tutti i dati la differenza tra Nord e Sud, con le provincie di Bolzano (64,3 per cento), Bologna e Firenze prime in Italia per occupazione femminile e Caltanissetta ultima (22,5 per cento) preceduta da sole provincie del Sud. Eppure dal 1991 il numero di donne laureate rispetto agli uomini è sempre stato maggiore, con il picco del 2011 (58,9 per cento).