22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Enrico Franceschini

L’82% dei 5.755 nostri connazionali nel mondo accademico britannico vuole cambiare Paese. E uno su tre pensa di rientrare a casa. I risultati di un sondaggio dell’ambasciata d’Italia a Londra. I prof si sentono “scoraggiati”. Sulla scelta pesano l’esclusione dai progetti Ue e il previsto calo dei fondi europei

La Brexit potrebbe spingere i docenti e ricercatori italiani che insegnano in Gran Bretagna ad andarsene da un’altra parte. Un sondaggio condotto dall’Ufficio Scientifico dell’Ambasciata d’Italia a Londra rivela che l’82 per cento dei nostri connazionali nel mondo accademico britannico vuole trasferirsi o considera la possibilità di farlo come effetto della decisione di questo Paese di lasciare l’Unione Europea. E circa un terzo di quelli che pensano di traslocare hanno in mente di tornare in Italia: quasi un contro esodo rispetto alla proverbiale “fuga dei cervelli” da casa nostra. Le ragioni sono molteplici: fine dei finanziamenti Ue alla ricerca, calo di studenti dal continente, diminuzione degli scambi scientifici, oltre a un crescente dissenso verso la politica del governo britannico nei confronti dell’università. La “love story” che aveva portato molti italiani a prendere una cattedra qui sembra cedere a disillusione e disamore.
Naturalmente i “professori” italiani d’Inghilterra non sono gli unici a lamentarsi della Brexit. Testimonianze analoghe arrivano da molti ambienti di lavoro in cui opera il mezzo milione o più di immigrati del nostro paese nel Regno Unito. Ma gli accademici rappresentano una punta di eccellenza. Sono tanti: 5.755 fra docenti e ricercatori, la seconda comunità straniera più numerosa nelle università britanniche, a cui si potrebbero aggiungere 6.749 studenti di dottorati di ricerca e master. Fino a quando non si prevedeva la Brexit, inoltre, erano un gruppo in rapida espansione: nell’anno accademico 2015-2016 il numero dei docenti e ricercatori italiani in Gran Bretagna è aumentato del 13 per cento rispetto all’anno precedente (mentre complessivamente il corpo accademico è cresciuto nello stesso periodo soltanto dell’1,6). Fra tutte le nazionalità, nota il sondaggio dell’Ambasciata, Italia e Spagna sono quelle che hanno avuto il maggiore incremento.
Poi, nel giugno 2016, è arrivato il risultato a sorpresa favorevole alla Brexit; e ne sono seguiti dodici mesi di discorsi sulla “hard Brexit”, un’uscita dura, totale dall’Europea, mitigati soltanto nelle ultime settimane dall’incertezza portata da un’elezione senza chiari vincitori. Il sondaggio della nostra sede diplomatica, a cui hanno risposto 642 accademici, un decimo del totale, dunque un campione rilevante, fotografa una sensazione di diffuso malessere. Alla domanda, “pensa di trasferirsi dal Regno Unito in un altro paese?”, il 27 per cento risponde sì, il 55 per cento forse e solo poco meno del 18 per cento replica con sicurezza di no: dunque “l’82 per cento sta pensando, in maniera più o meno certa, di lasciare il Regno Unito”, afferma l’indagine. Al quesito successivo, “dove pensate di trasferirvi?”, il 28,7 per cento dice in Italia, il 56,8 in un altro paese dell’Unione e il 14,5 in un paese extra- europeo.
Le motivazioni citano l’esclusione da progetti Ue, la difficoltà di collaborazione con gli europei, le ridotte possibilità di accesso a fondi della Ue e un senso generale di malcontento e demoralizzazione. È interessante sentire alcuni dei pareri, anonimi, raccolti dal sondaggio: “Siamo stati formalmente diffidati da dare borse di dottorato a studenti Ue”, “istituzioni britanniche viste con sospetto “, “gruppi britannici non più apprezzati per futuro coordinamento di progetti europei”, “colleghi sono stati invitati a non partecipare a consorzi di ricerca “, “stavo per presentare una domanda Erasmus come coordinatore e mi è stato fortemente sconsigliato”. Naturalmente, come riconosce la ricerca dell’Ambasciata, si tratta soltanto di un sondaggio e non riflette necessariamente le opinioni di tutti o della maggioranza degli accademici italiani. Ma è un segnale di ansia se non di allarme da parte della comunità dei nostri “prof” universitari in Inghilterra. Se ne discuterà tempestivamente questo fine settimana al King’s College di Londra, in una conferenza aperta dall’Ambasciatore Pasquale Terracciano a cui interverranno il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cern), Massimo Inguscio, rappresentanti del ministero degli Esteri, accademici e scienziati.

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