In Calabria, Campania e Sicilia i posti sono un terzo della media nazionale, ma le richieste di fondi sono state inferiori ai fondi, sforati invece dall’Emilia dove la frequenza è 11 volte più alta
In Calabria frequenta un asilo nido il 2,2% dei bambini fra 0 e 2 anni. In Campania si sale al 3,2%, e si arriva al 5,5% in Sicilia. In Emilia-Romagna il tasso è al 25,5%, cioè 11 volte più in alto del dato calabrese e 8 volte di quello campano. Eppure l’Emilia-Romagna, con l’Umbria (dove la frequenza agli asili nido è del 15,6%) è l’unica regione ad aver presentato progetti in eccesso rispetto ai fondi disponibili nel bando asili del Pnrr. I Comuni della Sicilia avevano a disposizione quasi 300 milioni, ma si sono fermati a 71. Quelli della Campania non sono andati oltre i 119 milioni su 328 disponibili, e anche in Calabria le richieste sono rimaste sotto al 50% del plafond. Ecco servito in cifre uno dei problemi identitari del Pnrr. Che nasce per ridurre le disuguaglianze territoriali e rischia invece di allargare la distanza fra le aree più in salute e il Mezzogiorno in crisi. E non è solo questione di soldi.
2,4 miliardi a disposizione, arrivati progetti per 1,2
Perché per gli asili nido, appunto, i soldi ci sono: il Pnrr mette a disposizione 2,4 miliardi, ma i progetti arrivati ne valgono solo 1,2. La legge di bilancio mette poi a disposizione un fondo crescente fino a 1,1 miliardi all’anno per le spese di gestione dei nuovi asili. Ma lo stesso era capitato a metà febbraio per il bando sull’economia circolare: anche lì l’offerta puntava a Sud, dove la povertà infrastrutturale moltiplica le emergenze rifiuti e i costosi viaggi della monnezza, e anche lì proprio il Sud era mancato all’appello (soprattutto nel filone da 600 milioni riservato alle imprese).
La proroga delle scadenze
In entrambi i casi il magro risultato dei bandi ha prodotto una proroga delle scadenze (al 31 marzo quello degli asili nido) nella speranza di colmare i buchi con i tempi supplementari. E ha alimentato un fitto dibattito sulla distribuzione dei fondi del Recovery, in bilico tra le clausole di garanzia per il Mezzogiorno e le ricadute effettive che invece si girano verso Nord. Come accaduto poche settimane fa sulla rigenerazione urbana, al centro di un pressing politico che ha costretto il ministero dell’Economia a rimettere mano ai fondi per trovare i 905 milioni in più (su 4,1 miliardi totali) necessari a finanziare i progetti in più arrivati dei Comuni settentrionali.
Un problema che si ripresenta quasi immutato dai progetti per le periferie a quelli per l’igiene urbana e per i bambini è difficile da etichettare come casuale. A Nord si propone di affrontarlo con soluzioni brusche, tipo quelle proposte dal sindaco di Milano Sala che ha candidato il capoluogo lombardo al ruolo di collettore dei fondi inutilizzati dal Sud. Ma al governo la pensano ovviamente in modo diverso. Anche perché la riduzione dei divari territoriali oltre a quelli sociali è una delle ragioni sociali del Pnrr. Ma il punto è come arrivare al risultato.
Gli ostacoli
Perché fra gli ostacoli posti su questa strada molti amministratori locali indicano le griglie troppo rigide su cui si reggono i bandi. In effetti se si allarga lo sguardo si nota che accanto alla colonna semivuota delle domande per gli asili nido c’è quella trafficata per le scuole e i poli dell’infanzia, che hanno totalizzato 2,1 miliardi su 600 milioni disponibili, mentre per mense e palestre si arriva addirittura a domande per 3,4 miliardi che si devono spartire fondi per 700 milioni. Il rischio, si sostiene in più di un Comune, è che il vestito cucito nei ministeri non si adatti al corpo dei bisogni territoriali.
Vero. Rimane però il fatto che anche sommando le domande dei poli dell’infanzia, Calabria, Campania e Sicilia restano abbondantemente sotto il target, mentre l’Emilia-Romagna lo supera di quattro volte. E che senza un colpo di reni la regola del 40% al Sud rischia di zoppicare parecchio.