Fonte: Corriere della Sera
di Enzo Cheli e Ricardo Franco Levi
Molte delle modifiche rischiano di portare a risultati opposti a quelli sperati. Immediatamente dopo il voto potrebbe essere presentato un progetto di iniziativa parlamentare in uno spirito di riconciliazione
Frutto della consapevolezza che le istituzioni influenzano in modo decisivo la capacità di un paese di produrre sviluppo e benessere, la riforma della Costituzione oggetto del prossimo referendum mira a superare il «bicameralismo paritario» e a riequilibrare la distribuzione dei poteri tra lo Stato e le Regioni. Dopo oltre trent’anni di dibattiti ed esperienze fallite, si tratta di obiettivi largamente condivisi, così come la correzione di alcuni evidenti errori della riforma del 2001 del Titolo V e l’abolizione delle Province e del Cnel.
Accanto alle luci si trovano, però, le tante ombre. Molti degli strumenti con cui la riforma si propone di raggiungere i propri obiettivi rischiano, infatti, di portare a risultati opposti a quelli sperati: ad un apparato istituzionale e una «macchina delle leggi» più complessi e non più semplici, ad una maggiore e non minore conflittualità tra Camera e Senato e tra Stato e Regioni. A questo riguardo, è sufficiente pensare ai senatori a mezzo servizio chiamati a dividersi tra il Parlamento e i consigli comunali e regionali; alla decina di diversi percorsi tra le due Camere a seconda degli oggetti trattati per l’approvazione delle leggi; al debole coordinamento tra Camera e Senato affidato a una non ben definita intesa tra i due presidenti; ai labili e sfuggenti confini delle nuove materie affidate alla legislazione esclusiva dello Stato e delle Regioni.
Queste ragioni, che inducono ad esprimere un giudizio complessivamente negativo sulla riforma, sarebbero, tuttavia, più serenamente apprezzate ove risultasse chiaro che esse non sono il frutto né di una chiusura al rinnovamento né, tantomeno, di un disegno di parte, che il «no» a questa riforma vuol dire «sì» a una riforma migliore: una riforma più semplice, equilibrata e comprensibile che, confermandone gli obiettivi, sia tale correggere le gravi carenze di quella oggi sottoposta al vaglio degli elettori. Di una simile riforma questi potrebbero essere i punti essenziali:
1. dimezzamento del numero dei parlamentari sia alla Camera sia al Senato ed elezione diretta dei senatori su base regionale con la previsione dell’esercizio esclusivo della funzione senatoriale in caso di elezione;
2. superamento del bicameralismo paritario con la concentrazione nella sola Camera del voto di fiducia e con l’affidamento al Senato di una funzione di coordinamento delle politiche regionali;
3. conservazione del carattere bicamerale della legislazione con un rigoroso limite temporale alla «navetta» tra le due Camere e con la prevalenza finale della volontà della Camera;
4. conferma di alcuni punti della riforma sottoposta a referendum, quali la previsione di una corsia preferenziale per i disegni di legge del governo con limiti più rigorosi ai decreti leggi; la revisione del Titolo V della Costituzione (ma limitata allo spostamento nell’area della legislazione esclusiva statale delle funzioni di sicuro rilievo nazionale: grandi infrastrutture, energia, ordinamento della comunicazione, …); l’abolizione del Cnel e delle Province.
In caso di vittoria del no, questi punti, da tempo maturi nella coscienza del paese, potrebbero formare oggetto di un progetto di iniziativa parlamentare da presentare immediatamente dopo il referendum, perseguendo, in uno spirito di riconciliazione, un consenso più ampio nel paese e tra le forze politiche tale da permetterne un’approvazione in tempi ristretti, auspicabilmente entro questa legislatura. Questa riforma «minore», una volta sperimentata, potrebbe essere successivamente sviluppata e completata attraverso un intervento più incisivo e diretto sulla forma di governo per rafforzare la stabilità dell’esecutivo, introducendo la sfiducia costruttiva e attribuendo al premier il potere di proporre al Capo dello Stato non solo la nomina ma anche la revoca dei ministri.Alla riforma della Costituzione si dovrebbe naturalmente affiancare anche una nuova legge elettorale che tenga, tra l’altro, conto delle nuove e diverse funzioni di Camera e Senato. Ma questa è, ed è bene che per il momento resti, un’altra storia.