Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Verderami
Atteso per oggi l’incontro tra il presidente incaricato e il Capo dello Stato. L’ex governatore aveva messo in conto i margini stretti del voto M5S
Ieri Sergio Mattarella ha disdetto tutti gli appuntamenti e si è chiuso (da solo) nel suo studio al Quirinale. Nelle stesse ore Mario Draghi era (da solo) nell’ufficio che gli è stato riservato a Bankitalia. Oggi pomeriggio si ritroveranno insieme per ufficializzare la nascita del governo dei due presidenti, una formula che non ha precedenti nella storia repubblicana, assai diverso dai gabinetti tecnici di Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e Mario Monti. D’altronde il premier incaricato — che all’atto di accettare il mandato si era espresso con deferenza verso il Parlamento — lo aveva fatto capire alle forze politiche nei giorni delle consultazioni.
Riassumendo per titoli il suo progetto, respingendo ogni suggerimento sulla composizione della maggioranza, evitando di parlare della squadra di governo, Draghi aveva spiegato ai partiti che stava per iniziare «un’altra epoca». La novità non sarà legata al dosaggio tra tecnici e politici di cui si comporrà il suo gabinetto. Non si ritroverà neppure nel numero di ministri che ne faranno parte, una ventina. Le differenza sta nella volontà del premier incaricato di presentarsi con il suo programma solo quando entrerà in Parlamento. Sta nella decisione di scegliersi la squadra senza mediazioni dei partiti.L’ex presidente della Bce sa che i suoi interlocutori politici stanno soffrendo questa condizione, lo vede dai loro atteggiamenti, dalle liste che gli vengono inviate per gli incarichi, da certe aspettative che sono inversamente proporzionali alla qualità necessaria per governare il Paese in questa difficile fase. Oggi si capirà quali scelte ha operato insieme al capo dello Stato. Domani sarà il giorno del giuramento e martedì il battesimo in Parlamento per la fiducia, che inizierà al Senato. La giornata di ieri gli è servita per definire il programma e per chiamare alcuni politici candidati al ruolo di ministro.
D’altronde doveva attendere l’esito delle consultazioni grilline e il risultato — accolto con sollievo dal Colle — l’ha giudicato come un buon viatico. Draghi metteva nel conto l’esiguità del margine con cui la base di M5s si è poi detta favorevole ad appoggiare il suo governo, siccome in un sol colpo il Movimento era costretto a fronteggiare tre criticità: la presenza in maggioranza di Silvio Berlusconi, quella di Matteo Salvini. E la sua. Vissuto come la punta di lancia di tutto ciò che avversavano, l’ex governatore è però convinto che con il tempo i 5 Stelle cambieranno idea. Saranno la frequentazione quotidiana e la conoscenza, ma soprattutto l’azione di governo, a far mutare l’opinione sul suo conto. Già era successo con Luigi Di Maio e in precedenza con Stefano Buffagni, che per primo aveva detto sì al governo Draghi. Senza dimenticare la conversione del leader della Lega, incontrato riservatamente quando ancora non era premier incaricato. Ma l’adesione al governo dei presidenti impone di accettare le nuove regole. E in questi giorni il ministro degli Esteri si è reso conto che non c’è altra via di uscita. C’è anche un problema matematico: perché se si pensasse di applicare il manuale Cencelli al nuovo governo, facendo i calcoli non basterebbero trenta poltrone. Certo, nel Movimento c’è chi fatica a capire: Riccardo Fraccaro — contiano di ferro fino alla penultima ora — ha dichiarato ieri che il ministero della Transizione ecologica «sarà centrale per M5S», come a volerci mettere il cappello.
Questa sortita fa risaltare un nodo politico. I partiti della maggioranza, che sono al buio, vorrebbero almeno sapere quale metodo stia applicando Draghi per formare il suo gabinetto. Non solo temono di ritrovarsi marginalizzati con dicasteri di secondo piano, e non ne fanno solo una mera questione di potere: il punto è che le scelte del premier incaricato potrebbero rompere gli schemi correntizi delle forze politiche, e le tensioni interne rischierebbero di scardinare partiti all’evidenza deboli. Con possibili effetti sull’esecutivo. Non ora, che tutti stanno coperti, ma nel corso della navigazione.
Nel frattempo, all’ombra della formazione del governo, si intravvede ungioco di posizionamento tra avversari che si ritrovano alleati. La crisi dei grillini e il preannuncio di un divorzio dell’ala movimentista guidata da Di Battista, potrebbe ulteriormente assottigliare i gruppi parlamentari di M5S. Così la «preoccupazione» espressa dalla Lega per questa situazione appare come l’anticipo di un’Opa ostile sui delicati equilibri della larga maggioranza. E ieri sera a Porta a Porta, Salvini non è riuscito a trattenersi, svelando in parte il disegno: «Su alcuni temi ci sarà una maggioranza orientata verso il centrodestra». Tranne poi aggiungere che, vista la spaccatura di M5S «a maggior ragione ci sentiremo responsabili, insieme a Forza Italia, della buona riuscita della missione». È suonato il campanello d’allarme a sinistra: «L’ombrello di Draghi mette per ora al riparo il governo», ha commentato un autorevole dirigente del Pd. «Vedremo quanto dura».