19 Settembre 2024
Erdogan2

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«Italia e Turchia sono partner, amici, alleati. C’è la volontà comune di rafforzare la partnership, i due Paesi lavorano insieme per una pace stabile e duratura», ha detto il premier italiano con riferimento alla guerra in Ucraina

«Italia e Turchia sono partner, amici, alleati. C’è la volontà comune di rafforzare la partnership, i due Paesi lavorano insieme per una pace stabile e duratura» . Le dichiarazioni del premier italiano Mario Draghi, ieri ad Ankara per un vertice bilaterale, sembrano aver sanato ogni incomprensione. Quasi non fosse esistito quel 9 aprile del 2021, quando Draghi, parlando dell’imbarazzante “Sofagate” avvenuto due giorni prima, aveva espresso la sua condanna definendo Erdogan un dittatore con cui bisogna essere franchi ma al contempo pronti a cooperare.

Clima cordiale
Nonostante le parole del premier italiano avessero provocato la profonda irritazione del presidente turco, anche Erdogan ieri ha esordito con toni estremamente cordiali. «Sono molto felice di ospitare il mio amico signor Draghi, primo ministro dell’Italia, e la sua delegazione».
Pur avendo usato un termine poco diplomatico, su un punto Draghi aveva visto bene: ci sono interlocutori scomodi, di cui, tuttavia, non si può far a meno. Il presidente turco è stato negli ultimi dieci anni una spina nel fianco per Bruxelles in generale, per i Governi di diversi Paesi europei in particolare. Con la Francia è quasi arrivato ad un confronto militare nel Mediterraneo orientale (agosto 2020). Eppure, oggi più che mai, Erdogan, oltre che un partner economico strategico per l’Italia, si presenta come colui in grado di aiutare l’Europa su molti fronti. Insomma, o si passa da Erdogan, oppure le strade per raggiungere obiettivi molto importanti divengono impervie se non quasi impercorribili. Questa è la realtà: se non fosse per il gas naturale, sarebbe per il dossier migrazione. E se non fosse per questo, sarebbe comunque per la crisi del grano. Erdogan rappresenta quel mediatore potenzialmente in grado di arrivare là dove gli altri aspiranti mediatori hanno fallito: un cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.

L’accordo per l’export di cereali ucraini
Ieri si è parlato dell’atteso accordo per aprire un corridoio nel Mar Nero e consentire l’export di cereali ucraini, scongiurando una crisi alimentare globale. Negli ultimi due mesi Erdogan si è attivamente adoperato in questa direzione. «Un accordo tra Russia e Ucraina sul grano – ha detto Draghi – ha un importantissimo valore strategico» perché «nel complesso degli sforzi per la pace sarebbe un primo atto di concordia, un primo tentativo di arrivare a un accordo per un fine che deve coinvolgerci tutti. Perché ne va della vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo». «I nostri negoziati (per un corridoio del grano) vanno avanti», ha precisato Erdogan, auspicando un accordo tra Kiev e Mosca in tempi brevi sotto l’egida dell’Onu e la mediazione turca.
Non si è parlato solo di crisi ucraina. Il dossier energetico ha tutt’ora un ruolo di primo piano. L’Italia sta cercando rotte alternative per affrancarsi dalla dipendenza russa. Ankara è anche un importante partner energetico: il gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Pipeline), che poi si collega con la Tap, è la terza rotta di approvvigionamento di gas per l’Italia dopo Algeria e Russia.

Nutrita delegazione italiana
Sul fronte delle relazioni commerciali tra i due Paesi, il vertice di ieri, il primo dal 2012, ha visto una nutrita delegazione italiana, con la partecipazione dei ministri Di Maio, Guerini, Giorgetti e Cingolani. Sono stati firmati diversi accordi ( nove economici) e protocolli di intesa. «La Turchia – ha proseguito Draghi – è oggi il primo partner commerciale per l’Italia nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Nel 2021 l’interscambio è stato di quasi 20 miliardi di euro, in crescita del 23,6% rispetto all’anno precedente. Gli accordi che abbiamo firmato oggi interessano molti settori, dalle piccole e medie imprese alla sostenibilità, che rimane l’obiettivo di lungo termine del Governo».
Naturalmente Erdogan ha il suo tornaconto. Riallacciare le relazioni con i Paesi europei significa provare a ricreare quel clima di fiducia capace di far tornare i flussi di capitali stranieri. Indispensabili per l’economia turca, strozzata da una crisi strutturale. Le elezioni presidenziali sono alle porte (2023). La popolarità di Erdogan è in netto calo. Occorre un colpo ad effetto. Meglio se sul palcoscenico internazionale.

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