Ferraris alle Fs, Scannapieco verso Cdp. Passeranno da loro consistenti risorse del Recovery
La regola che vige a palazzo Chigi quando il Paese attraversa una fase economica delicata dice che tutto si può fare tranne che toccare i posti di comando delle aziende di Stato. Cambiare, infatti, significa che i nuovi arrivati devono avere il tempo di prendere dimestichezza con la macchina e però intanto i motori si spengono. Insomma, la continuità è obbligatoria. E invece Mario Draghi sceglie la discontinuità. Cassa depositi e prestiti e Fs, si cambia: Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, in pole per prendere il posto di Fabrizio Palermo in Cdp, mentre l’ex amministratore di Terna Luigi Ferraris rimpiazza Gianfranco Battisti alle Ferrovie. I profili dei nuovi manager forniscono già un indizio del perché il premier ha voluto e potuto infrangere la regola. Sono le nomine per le braccia operative del Recovery. Per i nuovi “ministri” degli investimenti.
Se le nomine di Figliuolo e di Curcio, che hanno preso il posto di Arcuri e di Borrelli rispettivamente a capo della struttura commissariale per l’emergenza Covid e della Protezione civile, sono state funzionali al cambio di passo sulla campagna di vaccinazione, quelle di Scannapieco e di Ferraris rispondono alla necessità che ha Draghi di blindare la scommessa della ripresa economica. E per questo obiettivo, che passa dall’attuazione del Recovery, ma anche dalla capacità di attrarre nuovi investimenti extra, i nomi dei nuovi amministratori delegati sono quelli più idonei. È con questo ragionamento che il premier lancia la sua discontinuità, forzando anche l’iniziale indicazione arrivata dal Colle, che consigliava la strada classica della riconferma. Draghi invece rilancia, convinto della necessità di un cambio di gestione che intercetta un mutamento, anch’esso obbligato, delle due aziende pubbliche: la Cassa dovrà diventare sempre più una macchina per gli investimenti, Fs dovrà trasformare i 30 miliardi del Recovery che ha in mano nelle ferrovie dell’Alta velocità e dei treni regionali.
La posta in gioco così alta spiega anche perché Draghi ha voluto costruire questa discontinuità da solo. I partiti tenuti fuori, i posti apicali, quelli che contano, al riparo dal poltronificio e dalla spartizione con il manuale Cencelli che ha caratterizzato da sempre le scelte dei manager di Stato. È il secondo tempo di quell’impianto messo in piedi al momento della formazione del Governo: i ministri tecnici (Cingolani, Colao e Giovannini) a capo dei dicasteri che gestiscono i capitoli più importanti e la fetta più grande dei soldi del Recovery. Ma soprattutto Daniele Franco al Tesoro. L’arrivo di Scannapieco alla Cassa, il braccio operativo di via XX settembre, non è solo la riedizione dei Draghi boys in chiave di stima personale. È la riproposizione di un assetto che guarda a nuovi contenuti: trent’anni fa erano le privatizzazioni, oggi sono i 248 miliardi del Recovery. Ecco come si completa il puzzle sulla leva della ripresa e della crescita: la cabina di regia politica presieduta da Draghi (allargata, a rotazione, ai ministri e qui ritorna la centralità dei ministri tecnici), la centrale di gestione e di controllo al Tesoro, il braccio operativo della Cassa di Scannapieco.
E si arriva così al passaggio finale del disegno di Draghi: l’uomo giusto al posto giusto. Basta riascoltare l’intervento di Scannapieco a un evento di un mese fa per tirare fuori l’impronta del manager che arriva dalla Bei, la macchina che insieme al Fondo europeo per gli investimenti (di cui lo stesso Scannapieco è presidente) eroga prestiti come poche altri soggetti al mondo. In quell’intervento Scannapieco spiega che la Bei vuole intervenire e cofinanziare i progetti del Recovery italiano. Rivela di parlare con il Tesoro già dallo scorso settembre, quindi fin da quando il piano europeo per contrastare l’emergenza Covid ha mosso i primi passi. È più di un gancio, è di fatto la sua presentazione all’imminente tornata delle nomine. Insomma il candidato che serve all’Italia. E che all’Italia ha dato tanto. Sono 108 i miliardi che la Bei ha concesso all’Italia dal 2007 (quando Scannapieco è entrato nella Banca) al 2017 e l’anno scorso, l’anno del lockdown, l’Italia è risultato il primo Paese beneficiario delle risorse totali mobilitate, portandosi a casa 12 miliardi tra prestiti e garanzie.
Questa immagine spiega bene il nuovo ruolo che Scannapieco si appresta a ricoprire. Perché i 12 miliardi si sono trasformati in 32,4 miliardi di investimenti e sono andati a sostenere le piccole e le medie imprese attraverso la concessione di finanziamenti in partnership con le banche italiane e con la sua nuova casa: proprio Cassa depositi e prestiti. Fino ad ora i soldi li ha fatti arrivare, ora dovrà contribuire alla gestione e alla spesa, veloce ed efficace, dei miliardi del Recovery. Non solo. L’upgrade della decisione di Draghi è qui: la Cassa dovrà funzionare come moltiplicatore degli investimenti. E Scannapieco alla Bei ha fatto questo. È un sostenitore convinto della necessità della partnership pubblico-privato e del ruolo che il privato, a iniziare dalle banche, può e deve avere sugli investimenti pubblici.
Entrambi gli elementi – la necessità di mettere a terra i soldi del Recovery e la capacità di generare nuovi investimenti – costituiscono la ricetta che proprio Scannapieco ha indicato appena un mese fa quando ha parlato di execution, cioè della necessità di concentrarsi su cosa cambiare nell’attuazione della spesa dei fondi europei, e quando ha parlato della spinta necessaria agli investimenti. Insomma, l’ingresso di Scannapieco nella macchina di Draghi è fisiologica. I soldi della Bei sono andati anche alle terapie intensive, alle ferrovie, ai porti, ma anche alle rinnovabili e alle infrastrutture digitali. Sono anche i capitoli principali del Recovery e questo è un altro elemento che mette in evidenza come la Cassa è l’habitat naturale di Scannapieco.
Sempre il Recovery è la traccia per il cambio a Fs. Ferraris non è un esperto di trasporti, ma l’esperienza maturata a Enel e a Terna lo colloca comunque in quella visione che è propria appunto del Recovery: una politica industriale snella, green, che punta molto sull’energia pulita e sulla mobilità sostenibile, sulle ferrovie e sulle piste ciclabili invece che sulle strade. Dalla sua ha l’esperienza della macchina dell’azienda di Stato e quindi la conoscenza dei meccanismi interni. Anche qui Draghi ha guardato alla necessità di cambiare il posto di comando perché a cambiare deve essere la macchina: le Ferrovie sono chiamate a spendere 30 miliardi in sei anni e quindi a trasformarsi in un soggetto attuatore fondamentale del Recovery. La gestione uscente, affidata a Battisti, è stata letta come troppo debole, troppo concentrata nel provare a curare i bilanci e non così forte nell’ampliare una capacità progettuale in chiave Paese. Con il Recovery servono Ferrovie per lo Stato intese come Ferrovie per l’Italia. In quel grande progetto che Draghi ha deciso di rilanciare con i suoi fedelissimi. Trent’anni dopo quella telefonata con cui portò il neppure trentenne Scannapieco al Tesoro.