Fonte: Corriere della Sera
di Maurizio Ferrera
Chi governa deve rispettare la Costituzione (che prescrive il pareggio di bilancio) e salvaguardare le condizioni base per il funzionamento dell’economia, delle istituzioni, della sicurezza collettiva, delle relazioni internazionali
Perché, esattamente, stiamo litigando con la Ue? Secondo il governo la colpa è tutta di Bruxelles, che si sta impuntando sui «numerini» e vorrebbe impedirci di spendere quanto necessario per le riforme. Ma se è così, perché il governo vuole fare proprio quelle riforme, con quei costi? Qui entra in gioco una seconda argomentazione: «Lo abbiamo promesso agli italiani». Cedere anche solo di un millimetro — l’unità di misura preferita da Salvini — significherebbe tradire gli impegni elettorali, sacrificare la democrazia in ossequio alla tecnocrazia e ai mercati.
Queste giustificazioni sono due mezze verità, ma la loro somma non produce una verità intera, bensì un inganno. Prendiamo la questione delle promesse. Nei programmi elettorali di Lega e Cinque Stelle figuravano, sì, la revisione della riforma Fornero, la flat tax e il reddito di cittadinanza. Ma come obiettivi generali, non specificati. Tanto è vero che, a un mese dall’approvazione della legge di bilancio, non abbiamo ancora informazioni sui contenuti di questi provvedimenti, sulle loro modalità operative, sui loro effettivi oneri finanziari. In campagna elettorale, nessuno dei due partiti aveva poi chiarito che le famose riforme sarebbero state fatte in deficit, creando nuovo debito. Anzi, sul reddito di cittadinanza Di Maio e Di Battista ci avevano assicurato che le coperture erano già state individuate, addirittura «bollinate».
Per non parlare del fatto che gli elettori della Lega non sapevano che in realtà stavano indirettamente votando anche le proposte dei Cinque Stelle, e viceversa: l’alleanza post-elettorale è stata una grande sorpresa. Su questo sfondo, il contratto di coalizione e le misure della legge di bilancio hanno un legame davvero molto tenue con le promesse elettorali. Che non possono dunque essere invocate per giustificare i contenuti specifici della manovra e soprattutto quei «numerini» su deficit e debito che ci stanno isolando dall’Europa.
Ancora a luglio, il governo Conte aveva confermato alla Ue l’impegno a rispettare le regole fiscali dell’eurozona. Alla luce degli avvenimenti successivi, quella sì che è stata una promessa non mantenuta (perché farla, allora?). Dopo un interminabile balletto di cifre, a settembre sono arrivati i conti della spesa (quasi 25 miliardi di deficit in più rispetto all’impegno di luglio) e i due vicepremier hanno aperto le ostilità contro Bruxelles, in nome del popolo sovrano. Chi si sta impuntando sui «numerini» che violano gli impegni: tutti gli altri governi europei oppure Salvini e Di Maio?
La seconda e più generale mezza verità riguarda l’idea di democrazia. Si dice: chi governa deve tenere in conto le preferenze dei cittadini, espresse attraverso il voto. Su questo non ci piove, per carità. Il rispetto del mandato elettorale non è però l’unico dovere di un governo democratico. Occorre anche rispettare la Costituzione (che prescrive il pareggio di bilancio e l’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario) e tutelare quello che Giovanni Sartori chiamava «l’interesse dell’intero»: cioè salvaguardare le condizioni base per il funzionamento dell’economia, delle istituzioni, della sicurezza collettiva, delle relazioni internazionali e così via. Fra una elezione e l’altra possono sorgere sfide nuove, che esulano da quanto previsto nei programmi elettorali o nei contratti di coalizione. In questi casi, chi governa deve prendere decisioni responsabili, considerare la comunità politica nel suo complesso, pensando al lungo periodo e non alle prossime elezioni.
L’attuale legge di bilancio e il conflitto con Bruxelles rischiano di provocare una seria crisi finanziaria e di compromettere i rapporti con i nostri partner, forse la nostra stessa appartenenza alla Ue. Ad essere allarmati non sono solo le istituzioni internazionali e tutti gli altri governi europei, ma anche l’Italia che produce e risparmia. Insistere con la prova di forza, rifiutarsi di cercare un ragionevole compromesso non ha nulla a che vedere con la presunta lotta fra democrazia e mercati, fra popolo e burocrati non eletti. E’ semplicemente una scelta irresponsabile. E, più che un inganno, un (madornale) errore.