Fonte: La Stampa
di Ilario Lombardo
L’aumento dell’Ires avrebbe portato 157 milioni per finanziare il reddito di cittadinanza. Con la correzione si rischia un buco
Si erano dimenticati di dirglielo, a Laura Castelli, che era tutto da rifare. Anche se non subito, direttamente nella legge di Bilancio nel suo ultimo passaggio alla Camera, per evitare di finire in esercizio provvisorio. Oppure, molto più semplicemente, la sottosegretaria davvero ci credeva, come ha detto, in una norma nata per stanare i «furbetti della finta solidarietà». Un sovrapprezzo al volontariato, a sentire le ragioni grilline, ideato anche come stratagemma per tassare la Chiesa visto che non è stato facile trovare un’altra strada sull’Imu. «Non è una norma sbagliata per come è stata concepita ma per come è stata scritta», ammette l’altro sottosegretario all’Economia del M5S, Alessio Villarosa. Sta di fatto che il cortocircuito sul passaggio più contestato della manovra ha fatto emergere nuovamente le anime opposte del M5S. Castelli a un certo punto della giornata è rimasta da sola a difendere la tassa che cancella l’Ires agevolata per il Terzo settore, portandola dall’attuale 12% al 24%: «È giusto: si presuppone che tu non faccia utili visto che sei senza scopo di lucro. Noi tassiamo i profitti mica i soldi della beneficenza».
L’Ires, l’imposta sul reddito delle imprese, è da sempre dimezzata per gli istituti di assistenza sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti di beneficenza, ecclesiastici e non. Un’agevolazione che premia il ruolo di compensazione del no profit che interviene dove lo Stato non arriva. Ma purtroppo il governo era dominato dall’urgenza di racimolare denari per blindare il reddito di cittadinanza e tenere buona l’Europa. E, alla fine, è stato sacrificato il Terzo settore. 157,9 milioni di euro di gettito previsti, dirottati verso il sussidio simbolo del M5S, costretto, ora, a cercare altrove risorse per rattoppare il buco rimasto. Ma l’onda d’urto delle polemiche è stata più forte di tutto. Il tempo di leggere i giornali al mattino e di qualche telefonata. E così mentre Castelli parlava, il vicepremier Luigi Di Maio già la smentiva: «La norma va cambiata. Mi impegno a farlo nel primo provvedimento utile. Si volevano punire coloro che fanno finto volontariato e ne è venuta fuori una norma che punisce chi ha sempre aiutato i più deboli». Eppure nemmeno 48 ore prima il leader pentastellato rivendicava: «Con questa manovra cominciamo a ridurre tutta la partita delle agevolazioni agli enti ecclesiastici».
Il primo provvedimento utile comunque sarà il quarto decreto attuativo della riforma del Terzo settore tra gennaio e febbraio. Forza Italia e Pd chiedono di cancellare subito la norma, alla Camera. «Non possiamo intervenire nella legge di bilancio – risponde Di Maio – perché si andrebbe in esercizio provvisorio». Anche per il premier Giuseppe Conte la retromarcia è clamorosa: «La norma va ricalibrata. Gli enti no profit, alla luce del principio di sussidiarietà, rappresentano uno strumento essenziale per un’efficace politica di inclusione sociale». Solo 72 ore prima, invece, gioiva per aver «adeguato la tassazione del no profit a quella degli altri settori».
Tra pranzi e cenoni il regalo natalizio è risultato indigesto e i cattolici italiani lo hanno urlato a gran voce. Il Movimento che ha fatto della lotta alla povertà una bandiera, che si definiva il portavoce della novella francescana, viene bacchettato dal presidente dei vescovi, Gualtiero Bassetti, e dai frati, proprio quelli del Sacro convento di Assisi. Per ragioni di calcolo e di sensibilità, mentre piovono telefonate e anche il Quirinale osserva preoccupato lo svolgersi degli eventi, Conte e Di Maio ammettono: «Abbiamo fatto una cavolata». Il presidente del Consiglio è cresciuto nel prestigioso collegio di Villa Nazareth, dove è di casa il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, e conosce bene l’opera di assistenza ai bisognosi. Così come è consapevole della forza della religione, lui devoto a Padre Pio, il santo della sua terra, Foggia, dove ha appena annunciato interventi anche per implementare il turismo dei fedeli.
I cattolici sono soprattutto un consenso esteso di cui Di Maio non può fare a meno proprio ora che il M5S soffre una crisi nei sondaggi. E Matteo Salvini? Era stato il primo, il giorno di Natale, ad annunciare che si sarebbe rimediato all’errore. Così anche lui si accoda al mea culpa di governo, seppure la tassa sul no profit sia nata proprio per evitare l’innalzamento delle sue odiatissime accise sul tabacco.