21 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Elena Dusi

Sugli oltre 400 giovani finanziati dall’Europa 43 sono nostri studiosi. Solo 19 lavorano da noi

Sarà lo sciopero dei professori. Sarà il calendario delle lezioni che si risveglia a rilento. Ma fra i corridoi delle università in questi giorni quel che si osserva non è esattamente un fervore da formicaio. E i numeri confermano l’impressione di un settore ripiegato su se stesso, in cui le sole facoltà scientifiche hanno formato 50mila ricercatori (ma è solo una stima: un registro con le cifre esatte non esiste) per vederli oggi lavorare all’estero. In totale il personale dedicato alla scienza rimasto nella penisola arriva a 120mila.
La crisi finanziaria mondiale sul settore della scienza e dell’università italiana ha picchiato duro. Tra il 2008 e il 2014 gli atenei hanno perso 10mila fra ricercatori e professori: il 20% del totale. I finanziamenti nello stesso periodo sono diminuiti del 14%. Oggi sono ai minimi in Europa e nel mondo occidentale in genere. I fondi che lo stato eroga per la ricerca sono lo 0,56% del Pil. La media europea è dello 0,66%. In Italia, fra pubblico e privato, in innovazione si spendono circa 20 miliardi all’anno.
In Francia sono 48 e in Gran Bretagna più di 30. Nel nostro paese i Prin (Progetti di interesse nazionale) sono ridotti a 92 milioni all’anno (ma tra il 2013 e il 2014 neanche un euro è stato erogato) per 4.300 domande, di cui solo 300 soddisfatte nel 2016.
Con queste cifre, i 13 miliardi di euro promessi dall’European Research Council (Erc) per il periodo 2014-2020 sembrerebbero una ciambella di salvataggio. E invece il sistema fa acqua anche qui, con i 900 milioni annui di contributo erogati dall’Italia a Bruxelles e i 600 che riusciamo a far tornare con i premi vinti e spesi nei laboratori del nostro paese. L’emorragia riguarda soprattutto i giovani. Gli “starting grant” sono fondi messi a concorso dall’Erc.
Offrono ai ricercatori con un’esperienza di 2-7 anni dalla fine del dottorato 1,5 milioni di euro da spendere in 5 anni. Gli ultimi risultati, pubblicati il 6 settembre, premiano 43 ricercatori italiani, solo 19 dei quali lavorano nel nostro paese. Gli altri sono distribuiti un po’ ovunque in Europa, compresa quella Spagna che condivide con noi gli ultimi posti in termini di spesa per la ricerca.
Leggermente migliori sono i risultati degli “advanced grant”, i fondi messi a bando per “i leader di ricerche consolidate con un registro di successi riconosciuto”. Le ultime classifiche, pubblicate ad aprile, premiano 16 ricercatori, di cui 12 impegnati entro i confini. Per nazionalità dei vincitori siamo quasi sempre sul podio in Europa. L’associazione Scienza in Rete ha calcolato che dal 2007 i nostri scienziati si sono aggiudicati 420 bandi, in lenta ma continua crescita, con un picco di 63 nel 2015. Ma il discorso cambia se si considera la sede del laboratorio. E nel complesso restiamo quasi l’unico paese a mantenere nel tempo un bilancio negativo, con un numero costante di ricercatori che lavorano all’estero e solo pochi, sporadici, esempi di scienziati che scelgono l’Italia per fare scienza.
Il giudizio finale lo dà lo stesso Erc nel suo country report relativo al nostro paese: «Le opportunità di lavoro per i ricercatori nel settore pubblico oggi in Italia sono limitate» e «il gap con il resto dell’Europa è aumentato». Dal 2008, inizio della crisi finanziaria, «la spesa del governo per la ricerca è calata e anche oggi resta significativamente più bassa rispetto ai livelli pre-crisi».
Il fatto che tanti ricercatori italiani riescano ad aggiudicarsi dei bandi, seppur all’estero, resta secondo l’agenzia di
Bruxelles un grosso merito: «Nonostante le restrizioni, la produzione scientifica italiana è forte e in continuo miglioramento. In termini di pubblicazioni per numero di ricercatori e per fondi spesi, la performance è generalmente migliore rispetto a Germania e Francia».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *