Le correnti della magistratura, in perenne contrasto, si sono trovate d’accordo contro il commissario d’esame che aveva criticato gli aspiranti magistrati in gran parte bocciati al concorso
Non c’è che da condividere l’editoriale di Antonio Polito, uscito ieri sul Corriere, a proposito dell’istruzione che offre la scuola italiana ai suoi giovani, se molti quindicenni, come ha denunciato qualche giorno fa Save the Children, non comprendono i testi che leggono. E va condiviso anche l’allarme che si è aggiunto proprio martedì, quando è stato comunicato l’esito catastrofico del concorso per la magistratura, superato da soli 220 candidati su quasi quattromila. La stragrande maggioranza è stata bocciata nella prova scritta non perché, come si diceva una volta, non ha studiato abbastanza, ma per ragioni ben più gravi: e cioè perché non dispone di capacità argomentative e linguistiche, mostrando nella scrittura «schemi preconfezionati, senza una grande capacità di ragionamento, scarsa originalità, in alcuni casi errori marchiani di concetto, diritto e grammatica».
Dunque, non si tratta (solo né soprattutto) di carenze tecniche. Tuttavia, lo sfacelo non è tale da turbare né l’ala conservatrice delle toghe (Magistratura Indipendente) né l’ala progressista (Magistratura Democratica), che pur essendo in perenne battibecco si sono trovate per una volta concordi nel denunciare la severità del commissario d’esame Luca Poniz. Come quei genitori che non trovano di meglio che prendersela con il professore quando il figlio viene rimandato. Così, ieri s’è udito a destra lo squillo di trombetta minimizzante e a sinistra ha risposto un analogo squillo con il comune sospetto che si sia trattato di un giudizio «ingeneroso», di un «rigore incomprensibilmente estremo» e con accenti anche ironici («se il problema è la divisione in sillabe ci sono i correttori automatici…»). La prima regola a cui dovrebbero attenersi i magistrati sarebbe quella di rispettare le sentenze dei giudici. E questo non è proprio un bell’esempio (per i futuri colleghi) né quanto a etica professionale né quanto ad argomentazione.