Fonte: Corriere della Sera
di Ferruccio de Bortoli
Se trasgrediamo noi non possiamo poi lamentarci del disinteresse degli altri, se si è poco credibili e seri non serve a nulla battere i pugni sul tavolo
L’affanno con cui il governo di Londra negozia la Brexit, nel tentativo di non perdere l’accesso al mercato interno, è persino divertente. E qualche volta può essere per noi addirittura consolatorio pensare alla modestia della classe politica britannica. Ha maneggiato senza cura l’arma impropria del referendum sull’Europa. Ora ne teme le conseguenze. Ma lo spirito di rivincita che aleggia a Bruxelles e tra gli europeisti dopo il voto olandese (a proposito, quanto ci mettono a fare un governo?), l’ascesa di Emmanuel Macron e la débâcle elettorale di Theresa May, non basta ad assicurare il rilancio dell’Unione. Rinfranca gli animi, ma non chiarisce le idee. La cura ricostituente dell’Unione è ancora avvolta da un alone di incertezza. Il rilancio dell’asse franco-tedesco dovrà attendere il voto di Berlino del 24 settembre. I passi necessari sono chiari a tutti. La ripresa del processo di integrazione, a più velocità, si valuterà con la qualità nella gestione dei beni comuni: dalla difesa alla sicurezza nella lotta al terrorismo. Una constatazione realistica, non ideologica (gli europeisti a volte lo sono, purtroppo) del quadro delle relazioni tra Paesi, può essere utile in chiave italiana. La soluzione trovata alla crisi delle due banche venete, per quanto autorizzata dalla Bce e dalla Commissione, non sarà priva di conseguenze nell’atteggiamento dei partner verso l’Italia. Non ne usciamo bene.Mentre in Spagna il Santander salvava il Banco Popular dopo un aumento di capitale, in Italia Intesa Sanpaolo comprava, con dote assai generosa, i due disastrati istituti. Senza fare alcun aumento di capitale. Con un aggravio potenziale sul debito pubblico di almeno 17 miliardi. Somma che andrà ad aggiungersi a quella necessaria, con altre modalità, per ricapitalizzare il Monte Paschi. Lo Stato potrà anche rifarsi della spesa. Si vedrà. Molti Paesi hanno salvato i loro istituti con soldi pubblici. Inevitabile. Ma c’è un piccolo particolare. Lo hanno fatto per tempo, meglio di noi, e persino con i soldi nostri (la Spagna) quando le regole lo permettevano. Noi abbiamo caricato di oneri il contribuente, azionista a sua insaputa. Ora sarebbe illusorio non pensare che questa scelta non abbia conseguenze. Inutile, per esempio, farsi tante illusioni sul completamento dell’unione bancaria con l’assicurazione europea dei depositi. Berlino è sorda a mettere in comune il debito, anche per progetti futuri. Dopo il salvataggio delle venete lo sarà ancora di più. Dunque, appare velleitario discutere oggi di eurobond senza aver fatto un deciso avanzamento nell’integrazione economica con l’istituzione, per esempio, di un ministro delle Finanze europeo.
Vi sono poi tentazioni trasversali agli schieramenti politici. L’Unione non è sensibile ai nostri problemi? Dunque riduciamo il contributo netto (poco più di 5 miliardi nella media degli ultimi anni secondo la Corte dei Conti). Suggestione che va dai Cinquestelle alla Lega fino a Sinistra italiana. Pericolosa. Sarebbe meglio discutere dei tanti finanziamenti europei perduti. Quelli erano soldi che abbiamo buttato. Per colpa di chi? Silenzio. Se venissimo meno ai nostri impegni sul bilancio europeo ne pagheremmo le conseguenze. L’ulteriore richiesta di flessibilità sulla legge di Bilancio del 2018, che dovrà essere presentata entro ottobre, sarebbe meno legittima se non ottemperassimo alla disciplina di membri dell’Unione. E certo non è passato inosservato che in aprile con il Def, Documento di economia e finanza, si giurasse su un deficit 2018 all’1,2 per cento, salvo poi scoprire, poche settimane dopo, che era semplicemente irraggiungibile, come da lettera del ministro dell’Economia Padoan alla Commissione europea. L’idea di non dar seguito al fiscal compact, che è un insieme di regole di disciplina di bilancio, affascina molti. Nell’opposizione ma anche nella maggioranza. Peccato che quell’odiato trattato europeo, approvato anche da noi come del resto la discussa normativa sul bail in, non sia stato letto con attenzione perché non è assolutamente privo di buon senso. E grazie al fiscal compact, è stato possibile alla Banca centrale europea varare una politica monetaria accomodante che ha ridotto il nostro servizio sul debito. L’obiettivo di un bilancio in pareggio strutturale, che tenga conto del ciclo economico, è tutt’altro che cervellotico, tanto che lo abbiamo recepito in Costituzione. Se trasgrediamo noi non possiamo poi lamentarci del disinteresse degli altri. Oltre che dell’odioso egoismo dei Paesi dell’Est, dimentichi dei meriti dell’Unione che ha dato loro benessere e libertà. Se si è poco credibili e seri non serve a nulla battere i pugni sul tavolo, come da narrativa antieuropea. Si è tagliati fuori e basta. Specie se non si è curato a sufficienza il tema della qualità delle nostre rappresentanze (alcune di straordinario livello) nelle istituzioni europee, al punto che non è raro che italiani inseriti con successo facciano carriera ostentando distacco, se non peggio, nei confronti del loro Paese.
Sugli immigrati, il governo Gentiloni si è mosso con determinazione. Il ministro dell’Interno Minniti ha posto il tema, assai spinoso per una sinistra di governo, del limite all’accoglienza. Tema che forse anche la Chiesa dovrebbe prima o poi porsi. Francia e Germania sono sensibili alle richieste italiane. Ma inutile illudersi. Nessuno è disposto a pagare un prezzo politico per aiutare Roma, a maggior ragione se non siamo in regola su altri dossier. Nemmeno l’idolatrato Macron che chiude Ventimiglia. Speriamo che un accordo vero a Tallin si trovi. Dopo aver dato prova di umanità che altri Paesi, inclini ad ergere muri, mai avrebbero dimostrato, non possiamo accettare di ridurre il tutto a una mera questione di soldi. Com’è accaduto per la Turchia.