La lezione di Eschilo e dell’Orestea: abbiamo bisogno di credere che esista il rimorso, termometro di civiltà e segno di una coscienza
Un fortunato destino ha strappato all’oblio l’Orestea di Eschilo, un altrettanto triste destino la rende di stringente attualità ai nostri occhi davanti a ogni immagine di guerra e di giustizia violata. L’Orestea ci parla di giustizia, umana e divina, ci parla del difficile percorso per conquistarla con l’uso della ragione e del primo processo celebrato 2500 anni fa.
Una lettura (o una rilettura) importante in un momento in cui è particolarmente forte la necessità di mostrare ai nostri figli e studenti esempi di quello che i Greci chiamano logos, l’uso della ragione. La storia di Oreste, uno dei figli di Agamennone e Clitemnestra, da cui prende il nome la trilogia intera di Eschilo, è la storia di un figlio che si trova al centro di un sistema culturale e storico che conosce la sola vendetta come strumento di giustizia.
Per raccontarci questa storia Eschilo attinge dal mito degli Atridi e porta in scena, nel 258 a.C., i tre drammi di cui si compone l’Orestea: Agamennone, Coefore, Eumenidi. L’affresco di potere e passioni che dilaniano una famiglia. Consideriamo che nel teatro antico del V sec a.C. ogni poeta drammaturgo presentava, in occasione dei festival a cui la polis partecipava in modo massiccio, tre tragedie (una trilogia) che potevano essere indipendenti l’una dall’altra oppure legate da un filo tematico comune. L’Orestea è l’unica trilogia conservata per intero e legata allo stesso tema che sia giunta sino a noi. Dettaglio che la rende ancor più preziosa.
In scena un susseguirsi senza fine di violenza che inanella vendette e sangue attraverso i tre atti di un’unica storia: Agamennone, di ritorno dalla guerra di Troia, viene ucciso dalla moglie Clitemnestra e dal suo amante Egisto e su entrambi si vendicherà Oreste. Siamo alla fine della seconda tragedia, le Coefore. Oreste ha ucciso la madre e prima di lei il suo amante, dalla porta del palazzo aperta lo si vede accanto ai due cadaveri. Oreste sa di aver fatto giustizia. Sangue chiama sangue. E sotto gli occhi degli spettatori, e sotto i nostri davanti alle immagini di strazio che sono entrate, ahimè, nella nostra quotidianità, Eschilo mette in scena il prezzo umano di un’anima come quella di Oreste che si è appena macchiata di sangue.
Oreste impazzisce, il rimorso lo dilania e i Greci trovano il modo di visualizzarlo questo dolore attraverso le Erinni, demoni infernali del rimorso e della vendetta. Rispondere ai morsi con altri morsi porta a ferire anche se stessi. Il prezzo umano della vendetta.
Abbiamo bisogno di credere che esista il rimorso, termometro di civiltà e segno di una coscienza. Non abbiamo alcun bisogno di vedere moderne Erinni spargere il loro odio in Ucraina e in altre guerre di cui è pieno il mondo. Oreste impazzito vaga incalzato dalle sue persecutrici, che solamente lui riesce a vedere, perché sono solo sue ora. Nel suo vagare il figlio di Agamennone uccisore di sua madre arriva all’oracolo di Delfi, il cuore della sapienza greca, il tempio dell’imperativo più saggio di sempre: conosci te stesso. Lì Oreste si pone sotto la protezione di Apollo, il dio che prima aveva ispirato la sua vendetta e da cui ora dipende la sua purificazione redentrice. Il suo animo ha bisogno di pace, le Erinni erano sempre con lui, feroci e terribili. È lo stesso Apollo a indicare ora la via ad Oreste: deve farsi giudicare davanti all’Areopago, il più antico tribunale di Atene.
Oreste sarà assolto a parità di voti con il suffragio decisivo della dea Atena, la dea della saggezza coraggiosa e strategica. Le Erinni furono sconfitte e con lei l’antica legge primitiva dei legami di sangue e furono trasformate in Eumenidi. Eu, che significa bene, è il prefisso greco della positività e menos è la forza d’animo. Rinnovate nell’animo, alle Eumenidi fu affidata la protezione della gioventù e la fertilità dei campi, e in onore della tragedia che porta il loro nome a fine luglio 2022 a Roma è stato dedicato un intenso concerto, eseguito da Nicola Piovani, e intitolato Il sangue e la parola. Per ricordare quel primo processo basato sulla giustizia e sulla ragione e per celebrare — ricordava Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale — il valore della nascita dello Stato di diritto.
Per ricordarci che la sconfitta di tutte le Erinni avviene con la forza della ragione e delle istituzioni. Per ricordarci che la giustizia è il nodo che tiene legata una civiltà. Flessibilità e moderazione, non certo con l’assassinio reciproco, ne sono gli ingredienti principali.