Fonte: La Stampa
di Stefano Rizzato
All’Università Bicocca di Milano il top della scienza italiana. Nuovi fondi in arrivo e valorizzazione dei giovani
Un’iniezione di fiducia e di risorse. Una strategia nuova e concreta. «Sono lieta di illustrarla con il cuore… e con un portafoglio un po’ più generoso rispetto al passato». Così il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha annunciato ieri alcuni dei contenuti del Piano nazionale della ricerca. Un progetto che mobiliterà 2,5 miliardi di euro di denaro pubblico da qui a fine 2017. E promette di rilanciare i laboratori italiani, a quanto pare non solo a parole. Perché il piano prevede 381 milioni di euro per produrre 6 mila nuovi posti di dottorato, 436 milioni per il Meridione, altri 250 milioni per attrarre i vincitori degli Erc – i premi europei per la ricerca d’eccellenza – e convincerli a svolgere in Italia i loro progetti. Vista così, suona come la svolta dopo anni di vacche magre e a tratti magrissime. Soprattutto perché il progetto è ormai fatto e finito e sarà pubblico di qui a un paio di settimane.
Arrivano i rinforzi
Il ministro ha scelto un lungo intervento all’Università di Milano Bicocca per svelare i primi contenuti del testo. «Il primo obiettivo – ha spiegato – è valorizzare le persone. Sono loro a fare la ricerca, se messe nelle condizioni idonee. Per questo abbiamo stanziato 381 milioni di euro su 12 aree scientifiche di riferimento, le stesse del programma europeo Horizon 2020. Copriranno circa 6 mila nuovi posti di dottorato: un rinforzo notevole, per un Paese che ne ha oggi tra 10 e 15 mila. Con borse di studio che iniziano finalmente ad essere competitive. E competitivo è il fondo di 250 milioni per i vincitori Erc: a ognuno di loro l’Italia potrà proporre un budget di 5-600 mila euro per svolgere le loro ricerche».
Ma il conto complessivo dei fondi non è semplice. I 2,5 miliardi straordinari del nuovo piano si riferiscono al triennio 2015-2017. In più ci sono i fondi ordinari, pari a 7 miliardi di euro per le università e a 2,9 miliardi per i 22 enti di ricerca pubblica. Proprio per questi istituti – si va dal Cnr all’Agenzia Spaziale Italiana – il ministero ha in mente un altro obiettivo: equiparare finalmente il loro lavoro a quello che si svolge negli atenei. «È insensato – prosegue Giannini – alzare barriere e trattare questi due mondi come avessero funzioni e missioni diverse. L’importante è dare massa critica ai fondi su base competitiva».
L’inversione di tendenza
Parole che saranno suonate dolcissime a Massimo Inguscio, che da neo-presidente del Cnr ha sostenuto proprio la linea della parità tra la ricerca in ateneo e la ricerca extra-universitaria. «Dopo un lungo inverno in cui nulla succedeva – ha detto Inguscio – è iniziata la primavera. È il momento di cogliere l’inversione di tendenza e metterla a frutto. Come Cnr proveremo anche a realizzare, finalmente, il dottorato industriale: quel meccanismo che porta le aziende e le realtà produttive ad entrare nel mondo della ricerca. Intanto è importante che il governo abbia individuato risorse nuove per tornare a reclutare, partendo dai giovani, da persone fresche e pronte a cogliere quell’interdisciplinarità della ricerca tanto evocata, ma mai applicata davvero».
Rompere i compartimenti stagni e la «tirannia» delle discipline, per integrare davvero i saperi: ecco l’altra sfida che la ricerca italiana ha davanti, che da troppo tempo ha davanti. «La nostra ricerca – osserva Cristina Messa, rettore dell’Università Milano-Bicocca – è superiore alla media sia per citazioni sia per top-10 delle pubblicazioni scientifiche. Il capitale umano fa il suo lavoro. E io dico che la ricerca dev’essere interdisciplinare anche nell’insegnamento, con percorsi a beneficio degli studenti e incentivi per i docenti che applicano questo principio di integrazione dei saperi».