21 Novembre 2024

La scelta degli Usa, la «risposta» cinese. Si aprono nuovi scenari della cyber-guerra

L’Amministrazione Biden mette al bando il software cinese installato sulle automobili. Oltre a confermare l’escalation del protezionismo (ormai praticato da tutti), questa mossa è anche figlia dell’ultimo exploit del Mossad, il servizio di intelligence israeliano. Sia pure in senso lato. La strage compiuta in Libano attraverso esplosioni simultanee di cerca-persone, ha ripercussioni ben oltre il conflitto in Medio Oriente. In un primo momento le reazioni furono soprattutto di due categorie. Da un lato, amici e nemici avvertirono che Israele stava aprendo una nuova fase della sua offensiva contro Hezbollah, con un affondo micidiale che segnalava nuovi allargamenti di fronte, come purtroppo sta accadendo. D’altro lato ci fu una sorta di stupefatta ammirazione per l’efficienza del Mossad, che sembra intento a ricostruire la sua credibilità domestica e mondiale, dopo lo smacco tragico del 7 ottobre 2023 quando non vide arrivare la carneficina di Hamas.
Col passare dei giorni lo «sterminio dei nemici attraverso gadget tecnologici» ha suscitato altre analisi, ivi compreso nella comunità della difesa Usa. Dal punto di vista strettamente tecnologico, infiltrare e manipolare a distanza degli apparecchi di uso quotidiano, non è una novità. Gli esperti hanno riesumato dagli archivi molti precedenti, israeliani e non. Gli stessi americani avevano fatto qualcosa di simile, che il mondo intero scoprì all’epoca delle rivelazioni di Edward Snowden: l’intelligence Usa aveva manomesso i cellulari di leader amici, tra cui l’allora cancelliera Angela Merkel, per intercettarne le comunicazioni. Un altro precedente celebre fu l’operazione israelo-americana che entrò nei comandi informatici di una centrale nucleare iraniana guastandola. E tuttavia quelli furono casi di uso «passivo» dei gadget, per fare spionaggio o sabotaggio, non per ucciderne gli utenti. L’exploit libanese (non rivendicato) del Mossad, pur non essendo veramente nuovo, ha oltrepassato numerose linee rosse: in termini di spettacolarità, e per il bilancio di vittime.
Perciò ci si chiede se non abbia legittimato una nuova forma di guerra. La cyber-guerra del futuro, quella in cui ogni confine tra militari e civili sarà cancellato, le convenzioni internazionali diventeranno sempre più irrilevanti (non che siano mai state molto rispettate). La banalità degli oggetti in questione — i cerca-persone pre-smartphone — diventa un’aggravante. Perché non immaginare che qualcuno stia studiando di utilizzare a fini bellici i semiconduttori che fanno funzionare i nostri computer e cellulari così come i nostri elettrodomestici, praticamente ogni oggetto animato da memorie e circuiti elettronici? E le nostre automobili, per l’appunto, che ormai sono delle centraline digitali. Donde la mossa dell’esecutivo Usa, riguardo alle auto made in China o al software cinese per la guida delle vetture.
Si apre un campo illimitato: all’azione dei nostri nemici, quindi alle necessità di autodifesa o prevenzione da parte nostra. Un’operazione come quella del Mossad non è alla portata di chiunque, certo. I militari di Tel Aviv hanno investito da tempo nella ricerca scientifica finalizzata alla guerra tecnologica: hanno disseminato di start-up perfino la Silicon Valley californiana, dove esiste una nota «filiera» di innovatori direttamente collegati ad alcuni settori delle forze armate israeliane. Nei dintorni di Stanford e Palo Alto, Cupertino e Mountain View, cioè negli stessi luoghi celebri per i quartieri generali di Google Apple Facebook, esistono decine di società di cyber-sicurezza fondate da membri della Unit 8200, una divisione dell’esercito israeliano. È il modello che fu creato dal Pentagono con la Darpa, la sua filiale per il venture capital: Israele lo ha portato all’ennesima potenza, essendo uno Stato in guerra permanente dalla nascita, e convinto che solo la superiorità tecnologica possa compensare l’inferiorità demografica rispetto a nemici che hanno giurato la sua distruzione.<
L’establishment americano che definisce le strategie della sicurezza ha sempre guardato con rispetto agli exploit israeliani. Ora però aggiunge una dose d’inquietudine. Siamo in un mondo in cui tutti imparano da tutti. I cinesi ci hanno stupito in passato per la loro velocità di apprendimento, hanno saccheggiato ogni know how industriale e tecnologico dell’Occidente. Probabilmente hanno già nelle loro opzioni per una guerra futura, degli attacchi ibridi che transiterebbero attraverso insospettabili gadget di uso quotidiano. Tutto ciò è nell’aria da tempo: si capisce la campagna che venne lanciata dall’America (fin dalla presidenza Trump) per dissuadere i Paesi alleati dal comprare infrastrutture telecom made in China, in particolare il 5G di Huawei. Xi Jinping sospetta che gli americani possano fare lo stesso in casa sua: ha vietato l’uso delle Tesla — con le loro sofisticate videocamere — da parte di funzionari pubblici e nei pressi di istituzioni governative.
L’Europa stenta ad aprire gli occhi di fronte alle nuove minacce, anche perché non ha la consuetudine di integrare la dimensione della sicurezza nazionale nella sfera tecnologica, industriale, commerciale. Il colpo del Mossad dovrebbe dare una scossa a tutti. Già con la pandemia, poi la guerra in Ucraina, infine gli attacchi Houthi alle nostre navi nel Mar Rosso, si è visto che la nostra vulnerabilità sono le «supply chain», le catene di approvvigionamento, produzione, distribuzione. È impossibile tornare a un’era arcaica in cui tutto era prodotto vicino a casa.Ma è urgente investire nella sicurezza digitale, che riguarda anche gli oggetti più familiari della vita quotidiana.

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