22 Novembre 2024

Fonte: Repubblica

QUIRINALE - CIAMPI - ANNAN

di Michele Scacchioli

Il presidente emerito della Repubblica si è spento a 95 anni. Livornese e governatore di Bankitalia negli anni Ottanta, venne scelto dai partiti fuori dal Parlamento per l’incarico al Quirinale. Prima del 1999, fu presidente del Consiglio tra le macerie di Tangentopoli. Guidò il nostro ingresso nella moneta unica europea

E’ morto questa mattina in una clinica di Roma Carlo Azeglio Ciampi. Il presidente emerito della Repubblica aveva 95 anni. Recentemente era stato sottoposto a un intervento chirurgico.

“L’essere chiamato a rappresentare l’Italia, a essere garante della sua Costituzione, l’ho vissuto non solo come un altissimo mandato, ma soprattutto come un dovere, una missione. Per questo ho voluto abitare, con mia moglie, sin dal primo giorno, nel Quirinale: da sette anni è la mia casa, la casa del presidente della Repubblica, la casa degli italiani”. Era il 31 dicembre 2005. Dagli schermi tv, Carlo Azeglio Ciampi parlava così agli italiani nel tradizionale messaggio di fine anno: l’ultimo del suo settennato ai vertici dello Stato, iniziato con il giuramento davanti alle Camere il 18 maggio del 1999. Come Enrico De Nicola, primo inquilino al Colle, Ciampi viene scelto – dai partiti – fuori dal Parlamento.
Non a caso, quello di Ciampi è un discorso che per i cittadini riveste un significato preciso: l’uomo schivo, eletto plebiscitariamente capo dello Stato, rappresenta il garante delle istituzioni dentro al Quirinale, il padre della patria che ha difeso la Costituzione e tutelato l’unità del Paese in un momento in cui era necessario rassicurare sull’ingresso dell’Italia nella moneta unica, lui che dell’euro è stato uno dei padri nobili. Nel 1999 la confusione politica è tanta: dopo gli esordi e la prima vittoria di Silvio Berlusconi, il premier è Massimo D’Alema, subentrato al primo governo Prodi durato appena 876 giorni e caduto per un solo voto. La Bicamerale è appena naufragata: quel che occorre – scriverà Marzio Breda – è “un anestesista, un emolliente che consenta ai partiti di riprendere in mano il pallino della politica, troppo a lungo commissariata”.
Già nel 1993, dinanzi a un parlamento in parte delegittimato da Tangentopoli e dalle necessità di un risanamento finanziario utile a stabilizzare la lira, Ciampi diventa presidente del Consiglio: per la prima volta nella storia della Repubblica, viene formato un governo presieduto da un non parlamentare. E non sarà un caso che a Palazzo Chigi venga chiamato un tecnico estraneo alla politica, governatore della Banca d’Italia – forse l’unica istituzione in quei momenti a mantenere intatta la credibilità – e noto per le sue doti di moralità.
Sette anni dopo quell’ultimo messaggio pronunciato dal Quirinale, l’ex presidente della Repubblica – marito della signora Franca Pilla, nonno e bisnonno felice – decideva di lanciare un appello ai giovani: “Ragazzi – scriveva nel 2012 in una lunga ‘lettera aperta’ indirizzata ai ventenni scoraggiati, ma anche ai loro genitori – ora tocca a voi”. Un dialogo con un interlocutore immaginario in cui il presidente emerito parla e si racconta, ripercorre il suo essere giovane durante anni drammatici, nel pieno della guerra, costretto come tanti – lui giovane sottotenente degli autieri che combatte in Albania e poi in Abruzzo – a scegliere da che parte stare l’8 settembre del 1943 (rifiuterà di aderire alla Repubblica sociale italiana e si iscriverà al Partito d’azione).
Banchiere centrale e uomo politico, Ciampi nasce a Livorno il 9 dicembre 1920. Nel 1941 consegue la laurea in Lettere e il diploma della Scuola Normale di Pisa, poi nel 1946 si laurea anche in Giurisprudenza. A seguire, viene assunto alla Banca d’Italia, dove – inizialmente – presta servizio in alcune filiali, svolgendo attività amministrativa e di ispezione ad aziende di credito.
Nel 1960 viene chiamato all’amministrazione centrale della Banca d’Italia, al Servizio Studi, di cui assume la direzione nel luglio 1970. Segretario generale della Banca d’Italia nel 1973, vice direttore generale nel 1976, direttore generale nel 1978, nell’ottobre 1979 viene nominato Governatore della Banca d’Italia e presidente dell’Ufficio Italiano Cambi, funzioni che assolve fino al 28 aprile 1993.
Quattordici anni in cui l’Italia è caratterizzata da un’inflazione galoppante a due cifre. Ciampi la definiva “un male sottile”. Ed è proprio all’inizio degli anni Ottanta – con l’asta dei Bot del luglio 1981 – che si dava il via a un nuovo regime di politica monetaria. Si inaugurava, infatti, il cosiddetto ‘divorzio’ tra Tesoro a Bankitalia: una divisione tra i poteri esecutivo, legislativo e monetario. Per sconfiggere la malattia, vale a dire l’inflazione, era necessario combatterne le cause: e lo Stato era una di queste. Già nel 1980, infatti, Ciampi scriveva: “Il ritorno a una moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della Banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito. Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa.
Nel decennio successivo comincia la sua esperienza politica. Dall’aprile 1993 al maggio 1994 diventa presidente del Consiglio, presiedendo un governo chiamato a svolgere un compito di transizione: tecnico di ‘pronto intervento’, ha il compito di salvare la reputazione della politica screditata dagli scandali di ‘Mani Pulite’. A seguire, durante la XIII legislatura viene nominato ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, nel governo Prodi (dall’aprile 1996 all’ottobre 1998) e nel governo D’Alema (dall’ottobre 1998 al maggio 1999). Dal 1993 è governatore onorario della Banca d’Italia e dal 1996 membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.
Ricopre numerosi incarichi di rilevanza internazionale, tra cui quelli di presidente del Comitato dei governatori della Comunità europea e del Fondo europeo di cooperazione monetaria (nel 1982 e nel 1987); vice presidente della Banca dei regolamenti internazionali (dal 1994 al 1996); presidente del Gruppo consultivo per la competitività in seno alla Commissione europea (dal 1995 al 1996); presidente del comitato interinale del Fondo monetario internazionale (dall’ottobre 1998 al maggio 1999).
Dall’aprile 1993 al maggio 1994, Ciampi governa durante una fase di difficile transizione istituzionale ed economica. Il referendum elettorale e la congiuntura sfavorevole caratterizzata da un rallentamento della crescita economica richiedevano, infatti, risposte immediate.
Sul piano economico gli interventi più significativi sono rivolti a costituire il quadro istituzionale per la lotta all’inflazione, attraverso l’accordo governo-parti sociali del luglio del 1993, che pone fine ad ogni meccanismo di indicizzazione e che individua nel tasso di inflazione programmata il parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali. Inoltre il governo Ciampi dà avvio alla privatizzazione di numerose imprese pubbliche, ampliando e puntualizzando il quadro di riferimento normativo e realizzando le prime operazioni di dismissione (tra cui quelle, nel settore bancario, del Credito italiano, della Banca commerciale italiana, dell’Imi).
Come ministro del Tesoro e del Bilancio del governo Prodi e del governo D’Alema, Ciampi fornisce un contributo determinante al raggiungimento dei parametri previsti dal Trattato di Maastricht, permettendo così la partecipazione dell’Italia alla moneta unica europea, sin dalla sua creazione. Tra i provvedimenti più significativi di questo periodo si ricorda la manovra correttiva della politica di bilancio varata nel settembre del 1996 dal governo Prodi, che ha consentito un abbattimento di oltre 4 punti percentuali del rapporto indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rispetto al prodotto interno lordo, il parametro di Maastricht di più arduo conseguimento per il nostro Paese.
Il 13 maggio del 1999 viene eletto, in prima votazione, decimo presidente della Repubblica Italiana: in questa veste, Ciampi cerca di trasmettere agli italiani “quel patriottico sentimento nazionale che deriva dalle imprese del Risorgimento e della Resistenza e che si manifesta nell’Inno di Mameli e nella bandiera tricolore”. Prima di lui, al Quirinale era andato Oscar Luigi Scalfaro. Dopo di lui è stata la volta di Giorgio Napolitano.
“A  voi giovani ancora un pensiero – dirà a dicembre del 2004, durante il suo penultimo messaggio di fine anno -, so quanto amate l’ambiente, quanto vi adoperate per salvaguardarlo. Cercate di vivere in armonia con i ritmi della natura. Fa bene. Ci si sente più forti, si può dare il meglio di noi stessi. Provate qualche volta ad alzarvi all’alba, a vivere il miracolo quotidiano del risveglio della natura”.

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