25 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Enrico Marro

In Italia e in Europa le migliori intelligenze vanno impegnate a misurarsi con le scelte davvero importanti, non a costruire scenari di carta


Per superare l’emergenza coronavirus, come italiani, facciamo affidamento sul fatto che il nostro è uno dei Paesi più ricchi e avanzati del mondo. Per questo ci preoccupa che i focolai epidemici abbiano colpito principalmente tre regioni — Lombardia, Emilia Romagna e Veneto — che da sole valgono il 40% della ricchezza prodotta in un anno e più della metà delle nostre esportazioni. L’Italia temeva di finire in recessione già prima del coronavirus, ora le probabilità che ciò accada sono molto aumentate, per di più in uno scenario mondiale di contrazione della crescita. Ma non è la prima volta che succede. E, anche se la causa è diversa dall’attacco alle Twin Towers o dal fallimento di Lehman Brothers, sappiamo che, tenendo i piedi per terra, possiamo uscire dalla crisi. E che, come per le precedenti, essa può e deve diventare l’occasione per imparare la lezione e riorientare le priorità politiche e del nostro convivere. «È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie», diceva Albert Einstein. Vale per l’Italia, per l’Europa, per il mondo.
Le misure di sostegno economico prese finora dal governo sono quelle tipiche delle situazioni d’emergenza. Altre, più consistenti, sono state annunciate e verranno prese dopo che il Parlamento, secondo il nuovo articolo 81 della Costituzione, avrà autorizzato un aumento del deficit, indispensabile, secondo lo stesso esecutivo, a finanziare gli interventi di contenimento della crisi e di rilancio dell’economia. Il governo, prima del coronavirus, prevedeva per quest’anno un indebitamento pari al 2,2% del prodotto interno lordo, dunque ben sotto il tetto del 3% previsto dalle regole europee. Ora bisognerà mettere in conto un aumento del deficit che, in tutto o in parte, non verrà conteggiato ai fini del rispetto delle regole, proprio perché dovuto a cause eccezionali. Ma, anche qui, converrà procedere con giudizio e non farsi prendere dal panico.
L’emergenza sanitaria non può diventare l’alibi per finanziare tutto ciò che andrà fatto — e che, sia chiaro, deve essere fatto — solamente col ricorso al deficit. Far tesoro della lezione del coronavirus significa cogliere l’occasione per rideterminare le priorità della spesa pubblica e recuperare risorse dal taglio degli sprechi. È evidente, per esempio, che bisognerà ragionare di programmazione del sistema sanitario pubblico in termini diversi dal passato. Rimediando ai gravi errori compiuti. È appena il caso di ricordare, infatti, che già prima del coronavirus l’Italia aveva scoperto, dopo che per anni si era detto il contrario, di avere una grave carenza di personale medico e paramedico (aggravata, va sottolineato, dall’improvvida Quota 100), tanto che con il decreto legge Milleproroghe il governo ha previsto la possibilità per i camici bianchi di restare al lavoro fino a 70 anni anche dopo aver superato i 40 anni di servizio.
In questo senso anche il Documento di economia e finanza di quest’anno dovrebbe essere diverso. Mai come questa volta è infatti necessario uscire dalla «burocrazia del Def». Quella procedura che impone al governo di approvare entro il 10 aprile scenari e previsioni di crescita per quest’anno e per i prossimi appare più inutile del solito. Già sappiamo che qualunque numero verrà scritto nelle caselle del Pil e dei saldi di finanza pubblica per il 2020-23 sarà quanto mai aleatorio. E sarebbe quindi davvero surreale assistere poi al solito tira e molla con la Commissione europea su questi numeri. Serve un cambio di passo. In Italia e in Europa. Le migliori intelligenze vanno impegnate non tanto a costruire scenari di carta, quelli solitamente contenuti nel Def appunto, quanto a misurarsi con le scelte davvero importanti da compiere davanti a una realtà che ci richiama all’essenziale. Cambiamento climatico, trend demografici, variabili sanitarie, trame terroristiche condizionano ormai le nostre vite quotidiane più che andare in pensione qualche anno prima o litigare sull’apertura dei negozi la domenica.

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