La società civile e i professionisti della salute devono guidare il cambiamento. Lontani dalle sirene della politica
L’appello dei più prestigiosi medici e ricercatori italiani sullo stato del nostro prezioso Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha avuto un primo risultato apprezzabile:richiamare l’attenzione su un tema fondamentale per la stabilità sociale del Paese e ribadire l’importanza di un servizio pubblico universalistico e accessibile a tutti. Ma non ci illudiamo, precedenti autorevoli grida di allarme sono caduti nel vuoto o hanno avuto solo lo spazio di un mattino per poi ricadere nel totale oblio.
Ad esempio, un’autorevole istituzione dello Stato, la Corte dei conti, ha più volte espresso la propria preoccupazione. E solo pochi mesi fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha denunciato: «Il Ssn dopo aver sostenuto l’impatto della pandemia, soffre di una crisi sistemica». Ma non basta. Sempre la Corte dei conti, nella sua recente relazione al parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali, ha rilevato come la spesa sanitaria pro capite del nostro Paese sia meno della metà di quella tedesca, e che quella pubblica in rapporto al Pil sia tra le più basse d’Europa e dei paesi Ocse, di gran lunga inferiore alla francese, tedesca, spagnola. E segnala come le liste di attesa non abbiano ancora recuperato l’impatto della pandemia, mentre cresce la spesa privata, out of pocket, molto di più che nei nostri vicini europei.
D’altra parte, i numeri parlano da soli: nel 2022 sono stati spesi dagli italiani 41.503 milioni di euro di tasca propria per la salute (direttamente o attraverso assicurazioni, fondi e altro) su un totale di tutta la spesa sanitaria di 171.867 milioni; in altre parole, la spesa privata ammonta ormai a quasi un quarto della spesa sanitaria nazionale. È evidente che il sistema così non può farcela: come continuare a garantire l’eguaglianza dei cittadini davanti alla malattia se questa già non esiste più?
Alle crepe sull’universalità delle cure si aggiungono una serie di criticità emerse in questi 45 anni di Ssn, e già sottolineate in passato su queste pagine: 1) la disuniformità sul territorio nazionale dei livelli di assistenza sanitaria e di spesa; 2) la mancata integrazione ospedale-territorio; 3) le difficoltà a gestire una popolazione sempre più anziana, portatrice di cronicità; 4) l’appropriatezza delle prestazioni, spesso deficitaria; 5) la scarsità di investimenti in prevenzione; 6) la necessità di miglioramento tecnologico e digitalizzazione.
La riforma del titolo V della Costituzione, conferendo una competenza concorrente alle Regioni, ha segnato la fine dell’epoca delle grandi riforme organiche nazionali della sanità, quello di cui oggi avremmo un gran bisogno. C’è l’urgenza di molti più finanziamenti ma anche di una nuova visione strategica e di una nuova programmazione, che tengano conto dei mutati scenari epidemiologici e dei nuovi bisogni di salute, delle innovative possibilità offerte dalla tecnologia (basti pensare all’intelligenza artificiale ma non solo), integrando sempre più ricerca e assistenza come nel modello, poco valorizzato, degli Irccs.
Forse è arrivato il momento per quella che un tempo si chiamava società civile di farsi movimento d’opinione, mettendo insieme professionisti della salute, ricercatori, cittadini e associazioni di pazienti, tenendosi ben lontano dalle sirene della politica, per salvare e rilanciare il nostro Servizio sanitario. Alcuni hanno battuto un colpo, che qualcuno risponda o se il sistema salute perderà altri pezzi la responsabilità ricadrà su tutti noi.