Il Paese è diventato il crocevia globale del commercio di stupefacenti. E il presidente chiede l’aiuto a Roma per combattere i clan criminali
L’Ecuador sta diventando il crocevia internazionale del traffico di cocaina. Circa l’80% dello spaccio globale passa dai suoi porti, Guayaquil in testa. L’emergenza riguarda direttamente l’Italia, tanto per il coinvolgimento della nostra criminalità organizzata nel traffico, ’Ndrangheta in particolare, quanto come destinazione degli stupefacenti per il mercato locale. Perciò Roma ha stabilito una forte collaborazione col nuovo presidente di origini italiane, Daniel Noboa, e la procuratrice Diana Salazar, per aiutarli contro le mafie.
L’Ecuador ha vissuto anni difficili, quando l’ex presidente Rafael Correa era alleato col venezualeno Chavez e il boliviano Morales. Non manca chi lo accusa di aver aperto le porte del Paese al narcotraffico, come punto di passaggio per la distribuzione della droga prodotta in Colombia. Oggi Correa vive in esilio in Belgio, ma l’inchiesta “Metastasis” condotta da Salazar ha puntato il dito contro il suo vice, Jorge Glas, come punto di connessione con i narcos. Ciò ha portato al suo clamoroso arresto il 5 aprile scorso, mentre si nascondeva nell’ambasciata messicana a Quito.
Dopo gli anni di Correa e Lenín Moreno, il conservatore Guillermo Lasso era diventato presidente, ma è stato costretto a lasciare per corruzione. Il favorito nelle elezioni per sostituirlo era il giornalista Fernando Villacencio, che prometteva di usare la mano dura contro i cartelli, ma undici giorni prima del voto è stato ucciso da un commando colombiano, mentre lasciava un comizio vicino a Quito. I voti della gente esausta per queste violenze sono confluiti su Daniel Noboa, figlio trentaseienne del miliardario Alvaro Noboa, fondatore della compagnia leader nell’esportazione delle banane. Così nel novembre scorso Daniel è diventato il presidente più giovane ad entrare in carica, accompagnato dalla moglie di origini italiane Lavinia Valbonesi.
Noboa ha ereditato un Paese in preda alla violenza, come dimostrato il 9 gennaio scorso dall’assalto nello studio della TC Television, dove gli spettatori avevano visto in diretta l’attacco delle gang contro i giornalisti. I cartelli hanno scelto l’Ecuador come centro di smistamento della cocaina prodotta in Colombia, ma anche della coca rosa, l’alluginogeno sintetico 2C, o “tusi”, che già spopola nelle città italiane. Le forniture passano facilmente attraverso il poroso confine nella Foresta amazzonica e raggiungono principalmente Guayaquil, grande porto commerciale da cui parte di tutto. Qui vengono caricate sui cargo nascoste tra le merci legali, e attraverso il Canale di Panama raggiungono l’Oceano Atlantico, per sbarcare poi in Europa soprattutto nel Montenegro, ma anche in Italia. La ‘Ndrangheta è presente tanto alla partenza, quanto all’arrivo, per gestire il traffico.
Noboa ha dichiarato lo stato d’emergenza e mobilitato l’esercito per fermare il traffico, ma dice di non voler seguire il modello del collega salvadoregno Nayib Bukele, accusato di violare diritti umani e stato di diritto. Lui ripete sempre di preferire quello italiano, tanto è vero che il 14 maggio è stato ricevuto al Quirinale dal presidente Mattarella, e il 2 giugno è andato alla Festa della Repubblica nella nostra rappresentanza. «La fermezza di Quito contro le mafie — ha commentato l’ambasciatore Giovanni Davoli — è un esempio». La lotta però è impari, per le enormi risorse e la crudeltà dei narcos, e il tempo è poco. A febbraio infatti sono in programma le presidenziali e Noboa ha bisogno di risultati immediati sulla sicurezza, per essere confermato.