16 Settembre 2024
Scuola

Scuola

Il ministro dell’Istruzione Bianchi ha presentato il Decreto per la definizione dei criteri di riparto, su base regionale, delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza in tema di edilizia scolastica. Si tratta, quindi dei criteri con cui verranno allocati i fondi per realizzare i diversi obiettivi previsti dal Piano: sostituzione di edifici scolastici strutturalmente inadeguati, con altri adeguati non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche di modalità didattiche alternative, riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, predisposizione di spazi per l’ampliamento del tempo pieno, quindi anche per mense e palestre, aumento dei servizi per la prima infanzia.
Il primo criterio, in ottemperanza a quanto stabilito nel Pnrr, riguarda l’assegnazione del 40% dei fondi al Mezzogiorno, per colmare il gap di offerta educativa – a livello di servizi per la prima infanzia, tempo pieno nella scuola primaria e secondaria di primo grado, disponibilità di mense e palestre – che svantaggia fortemente le bambine/i e adolescenti in quelle regioni rispetto ai loro coetanei del Centro-Nord, accentuando i rischi di povertà educativa e dispersione scolastica. Altri criteri, trasversali a tutte le regioni, riguardano indicatori vuoi demografici, vuoi di problematicità: carenze strutturali, rischi ambientali (ad esempio la collocazione in zona sismica) o di isolamento (aree interne), bassi livelli di copertura, ma anche tassi di abbandono scolastico. In generale emerge la forte attenzione per il contrasto alle disuguaglianze educative e alla dispersione scolastica tramite sia la riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione degli istituti educativi, sia la predisposizione di spazi adatti all’apprendimento e allo sviluppo delle capacità, cognitive e non solo.
Proprio in questa prospettiva, tuttavia, vanno segnalate alcune criticità. Una prima criticità era già presente nel Pnrr e riguarda il riparto dei fondi per i servizi per la prima infanzia (3 miliardi). Non solo sono sotto-dimensionati rispetto alla carenza di nidi, ma sopravvalutano il fabbisogno nelle scuole dell’infanzia, dove il livello di copertura è già molto alto e il problema riguarda pressoché esclusivamente la mancanza di tempo pieno in alcune scuole, per lo più al Sud. Questo decreto, non potendo agire sulle risorse complessive, corregge in parte la sopravvalutazione del bisogno edilizio di scuole dell’infanzia, spostando più fondi sulla costruzione di nidi, cui vengono destinati 2 miliardi e quattrocento milioni. Sarà tuttavia opportuno, anche nella quota di fondi destinati alla scuola per l’infanzia, senza trascurare i bisogni di miglioramento di quest’ultima, specie al Sud, dare priorità ai progetti che prevedono di organizzare Poli dell’infanzia, in cui possono trovare collocazione anche i nidi, o alla predisposizione di posti nido all’interno delle scuole per l’infanzia, così come già consentito dalla normativa.
Una seconda criticità riguarda, nel caso della sostituzione di vecchi con nuovi edifici, la valorizzazione, in termini di punteggio, dei progetti «già inseriti nella programmazione triennale nazionale vigente in materia di edilizia scolastica». Se avere progetti pronti rappresenta un indubbio vantaggio, o il rischio è che vengano presentati progetti per nulla innovativi ma già vecchi e tradizionali, contravvenendo alla finalità di questo specifico fondo di spesa, che è appunto la creazioni di spazi che consentano una didattica innovativa (per la quale, per altro, andranno anche previsti percorsi formativi per i docenti). Quindi anche questi progetti dovranno essere valutati alla luce del nuovo cruciale obiettivo.
Una terza criticità, forse la più grande, riguarda lo strumento dei bandi: sono le regioni e i comuni, se non le singole scuole, a dover fare progetti che saranno o meno approvati. Sembra ragionevole, perché è sul territorio che si ha conoscenza dei bisogni. Ma l’esperienza insegna, proprio nel settore dell’istruzione, che non è sempre così. Altrimenti non si spiegherebbe la disomogeneità territoriale nella presenza di nidi, di tempo pieno scolastico, nella disponibilità di mense, palestre, laboratori. Ci sono problemi di scelte politiche, di sovraccarico di lavoro in situazioni difficili, di mancanza di competenze. Il ministero prevede di affiancare le competenze della Cassa depositi e prestiti alle amministrazioni che fanno fatica a preparare i progetti. È un buon passo avanti. Ma la questione è a monte: come garantire i diritti educativi delle bambine/i e adolescenti che vivono in zone dove l’amministrazione è incapace, o non ha interesse a presentare progetti anche se sarebbero molto necessari? Qui forse c’è un ruolo per la società civile, in termini di advocacy ed anche di collaborazione progettuale. Ma sicuramente c’è una responsabilità del Ministero, che deve intervenire là dove le amministrazioni locali non fanno la loro parte, senza lasciare i diritti dei cittadini minorenni alla aleatorietà di un bando.

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