Calderisi: il sostituto non potrebbe più essere cambiato e avrebbe di fatto il potere di scioglimento delle Camere che non si vuole attribuire al premier eletto. Ceccanti: così si istituzionalizza il conflitto all’interno della maggioranza, meglio rinunciate all’elezione diretta ma dare al premier gli stessi poteri forti dei colleghi europei
Il premier eletto a suffragio universale e diretto dai cittadini può sì cambiare, sia pure con il vincolo che il nuovo premier sia un parlamentare eletto nelle fila della coalizione che ha vinto le elezioni e ne porti avanti il programma, ma solo una volta nel corso della legislatura. È questa la principale novità che in queste ore è stata introdotta nel testo di riforma costituzionale che ha avuto lunedì il via libera dei leader della maggioranza e che venerdì dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri.
Solo un cambio di premier nella legislatura? «Per evitare giochini»
Una modifica, quella di un solo cambio a Palazzo Chigi nei cinque anni di legislatura, di cui si capisce la logica: impedire, una volta che dovesse essere sostituito il premier eletto, che parta il giochino dei partiti della maggioranza alla sostituzione. Mentre l’intento della riforma – si spiega da Palazzo Chigi – non è tanto rafforzare i poteri del premier, che infatti restano formalmente invariati, quanto proprio garantire la stabilità dei governi ed evitare i continui cambi di premier a cui abbiamo assistito negli ultimi lustri.
Calderisi: così effetto Calabria, dove tutti volevano fare il vice e nessuno il governatore
Eppure, come ogni volta che si modifica un delicato ingranaggio come quello dell’architettura istituzionale, se si chiude una porta bisogna assicurarsi che non si apra un portone. Il rischio, infatti, è che il capo dell’esecutivo stabile diventi il sostituto e non quello eletto direttamente: solo il secondo premier avrebbe di fatto quel pieno potere di scioglimento delle Camere che il testo non attribuisce al premier eletto. Lo fa notare Giuseppe Calderisi, uno dei massimi esperti di regole istituzionali e leggi elettorali di area liberale, ricordando il caso Calabria: «Prima che la Consulta bocciasse la legge regionale perché in contrasto con l’articolo 122 della Costituzione (si era nel 2004, e Calderisi fu tra i sostenitori della decisione del governo Berlusconi di impugnare la legge regionale, ndr) in Calabria si era aperta la partita su chi dovesse essere il candidato non a presidente della Giunta ma a vicepresidente, che in quanto candidato a possibile unico successore poi inamovibile era ruolo più ambito del presidente… nessuno, insomma, voleva più essere il candidato presidente da eleggere direttamente». Paradossi e precedenti di cui il legislatore attuale dovrà tenere conto.
L’antiribaltone si ammorbidisce: non più esclusi cambi di maggioranza
Per il resto il cuore della riforma che introduce la novità del capo del governo eletto direttamente dal popolo contestualmente al rinnovo del Parlamento, una forma di premierato che non esiste in nessun Paese e quindi sicuramente originale, è quello che è stato vidimato dai leader di maggioranza e illustrato dal Sole 24 Ore nei giorni scorsi. Il meccanismo della cosiddetta “fiducia costruttiva” inizialmente previsto, ossia la norma antiribaltone fortemente voluta dalla Lega che permetteva di sostituire il premier eletto in caso di cessazione dalla carica solo se votato dalla stessa identica maggioranza iniziale, è stato ammorbidito. Anche, sembra, per andare incontro ad alcune perplessità fatte informalmente arrivare dal Quirinale. Se il vincolo è quello della maggioranza iniziale, infatti, ogni partito della maggioranza che voglia mettere fine per interessi di parte alla legislatura avrebbe di fatto il potere di scioglimento delle Camere o comunque un forte potere di ricatto nei confronti del premier eletto.
C’è solo il vincolo del programma: basterà a evitare ribaltoni?
Si è trovata quindi una formula che permette al premier eletto di proseguire nella sua attività di governo anche se dovesse venire meno l’appoggio di un partito della maggioranza: in questo caso avrebbe infatti la possibilità di tornare di fronte alle Camere per allargare la maggioranza iniziale con il vincolo, però, di portare avanti il programma di governo con cui sono vinte le elezioni. Dal punto di vista del legislatore il vincolo del programma invece del vincolo della stessa maggioranza dà maggiore flessibilità al sistema ed evita al premier di governare sotto ricatto dei partner minori ma è comunque un vincolo politico di rilievo: «I partiti di opposizione che volessero entrare in maggioranza dovrebbero spiegare ai loro elettori il voltafaccia», si spiega
I paletti per la scelta del secondo premier: la norma anti-Draghi
Il testo prevede inoltre anche la possibilità, come si diceva all’inizio, che in caso di cessazione dalla carica del premier eletto il Parlamento possa dare la fiducia ad un altro premier, anche con una maggioranza diversa da quella iniziale, purché il prescelto sia un parlamentare eletto tra le file della maggioranza e purché sia rispettato anche in questo caso il vincolo del programma. Insomma, mai più governi tecnici alla Monti o del Presidente alla Draghi.
Le critiche di La Russa: se il premier cade meglio tornare al voto
Una norma antiribaltone riveduta e corretta, insomma, che non esclude più cambi di maggioranza e che molti osservatori anche vicini al governo ritengono pasticciata. Dubbi sono stati informalmente espressi dall’ex presidente del Senato Marcello Pera, ora senatore nelle file di Fratelli d’Italia, che aspetta tuttavia il testo definitivo per esprimersi. E dubbi sono stati già esplicitati dall’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa, che più da cofondatore di Fratelli d’Italia che da seconda carica dello Stato ha fatto pervenire il suo messaggio alla premier Giorgia Meloni: «Parlo a titolo personale, non ho ovviamente partecipato alla stesura del testo. Voglio essere sincero, io toglierei quel meccanismo che prevede che, una volta caduto un premier, possa nascere un altro governo con un altro presidente del Consiglio sia pur a determinate condizioni. Mi sembra arzigogolato. Se devi fare l’elezione diretta del premier, allora meglio farla fino in fondo. La mia opinione è che sarebbe meglio – oltre che più chiaro, più comprensibile anche di fronte ai cittadini – dire: se il premier si dimette o viene sfiduciato, si torna al voto».
Il compromesso per andare incontro a Lega e Forza Italia
La verità è che la stessa Meloni, così come la ministra azzurra delle Riforme Elisabetta Casellati , avrebbe preferito il meccanismo del “simul stabunt simul cadent” illustrato da La Russa e in vigore nei Comuni e nelle Regioni: se il premier è sfiduciato si torna al voto. Ma è chiaro che un meccanismo di questo genere ridurrebbe ulteriormente il ruolo e l’indipendenza di azione politica sia del Parlamento sia del Presidente della Repubblica, ed è anche chiaro che né Forza Italia né tantomeno la Lega hanno interesse a sostenerlo. Da qui la soluzione dell’antiribaltone rivisitato. Che in effetti appare un po’ arzigogolata, per usare il linguaggio di La Russa.
Ceccanti: guazzabuglio che rischia di esacerbare il livello di competizione nella maggioranza
Le stesse perplessità sono espresse per altro dall’opposizione anche dal leader di Iv Matteo Renzi, che pure è favorevole all’elezione diretta e che ad agosto ha presentato un Ddl in tal senso con il meccanismo del “simul simul” come nei Comuni e nelle Regioni. E sono rimarcate anche da costituzionalisti di area Pd storicamente favorevoli a cambiare la forma di governo nella direzione del premierato come Stefano Ceccanti, professore di diritto pubblico comparato alla Sapienza di Roma e già a lungo parlamentare democratico. «Il punto politico mi pare che Meloni avrebbe voluto elezione diretta e potere di fatto di scioglimento delle Camere con il meccanismo del simul simul mentre i suoi alleati le hanno voluto dare solo la prima. Forse c’è la convinzione che una volta eletto direttamente il premier o la premier avrà una legittimazione tale che i poteri che non ha se li potrà prendere di fatto, ma il meccanismo messo a punto è una guazzabuglio confuso che cerca di sintetizzare malamente le esigenze interne della maggioranza ma espone al rischio di esacerbare un altissimo livello di competizione interna tra i vari i leader dei partiti che compongono la maggioranza di governo».
E se il premier eletto fosse in realtà un’anatra zoppa, con meno poteri dei colleghi europei?
Paradossalmente c’è il rischio anatra zoppa, è il ragionamento di Ceccanti e di altri costituzionalisti di area dem, ossia un premier con la fortissima legittimazione politica dell’elezione diretta ma che ha meno poteri dei suoi colleghi europei. «Negli altri Paesi esiste la possibilità per il premier di chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere, che viene concesso se il Parlamento entro pochi giorni non riesce a trovare un’altra figura. Ed esiste tra l’altro la possibilità di cambiare il premier con una sfiducia costruttiva a maggioranza assoluta». E allora perché non rinunciare alla bandiera dell’elezione diretta virando sull’indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale dando però nel contempo al premier più poteri, primo tra i quali quello di determinare lo scioglimento delle Camere?
La responsabilità della segretaria del Pd Schlein di fare una controproposta
Esiste una proposta in tal senso presentata a nome del Pd nella scorsa legislatura proprio da Ceccanti assieme a Dario Parrini, allora presidente della commissione Affari costituzionali del Senato. Ma perché tale proposta di premierato forte ma non elettivo possa entrare davvero nel dibattito politico occorre che la segretaria del Pd Elly Schlein scelga di farsene carico e di proporla come controproposta al governo. Ma al momento sembra che a Largo del Nazareno prevalga la strategia del muro contro muro. Dopo le europee, chissà…