Dal canto suo, parlando dei rapporti con le forze del centrosinistra Marcello Pittella evoca la Shoah. E poi si scusa
In Basilicata il centrosinistra conferma l’esclusione di Azione e Carlo Calenda se ne va col centrodestra. Come già aveva fatto Italia viva. Preludio a una politica delle mani libere sulle alleanze che, “se Giuseppe Conte insisterà con i veti su di noi”, potrebbe riproporsi in Piemonte: “Io non vorrei, non faccio ripicche”, avverte l’ex ministro dello Sviluppo, “ma certo se il Pd continuerà a piegarsi ai diktat del M5S, magari accettando di candidare uno dei loro, noi non ci staremo”. Convinto che “una coalizione che si muove in questo modo non può governare neanche un condominio”.
Ma la scelta di sostenere il governatore di centrodestra non è indolore per Azione e crea una frattura in una delle famiglie politiche più influenti della regione, i Pittella. Perché se Marcello Pittella abbraccia la decisione di Calenda, il fratello Gianni, ex eurodeputato del Pd e ora sindaco del comune di Lauria, fa emergere il suo dissenso: “In verità pensavo fosse chiaro il mio pensiero e cioè che non mi riconosco nella scelta di Azione in Basilicata!”, scrive su Facebook. Un’uscita destinata ad avere conseguenze.
In fondo a una settimana di passione i centristi hanno comunque deciso: in terra lucana sosterranno l’uscente di rito forzista Vito Bardi, col quale è stata raggiunta “un’intesa programmatica” dopo aver verificato l’impossibilità di schierare un nome terzo. Magari convergendo su Angelo Chiorazzo, il ras delle coop bianche che a oggi risulta ancora in corsa con il suo movimento civico, sebbene voci insistenti lo diano in avvicinamento al presidente della provincia di Matera, Piero Marrese, appoggiato dal tridente Pd-M5S-Avs con l’aggiunta di +Europa.
Uno schema a geometrie variabili, quello della coalizione progressista, che ha finito per innescare la solita rissa fra Calenda e Conte, sempre più ai ferri corti. Alimentata, anche, dal video shock con cui Marcello Pittella, plenipotenziario di Azione in Basilicata, ha annunciato l’estromissione dal centrosinistra e la scelta di passare armi e bagagli con gli avversari: “C’è proprio un’azione a far male, a far morire. Sapete quando deportavano gli ebrei e dovevano portarli nelle camere a gas? Ecco, io per loro sono uno che deve morire”, dice l’ex governatore nei due minuti di registrazione inviata ai suoi. Paragone inaccettabile. Che scatena subito una bufera: “C’è un limite a tutto, basta”, attacca il capogruppo grillino al Senato Stefano Patuanelli. Costringendo il dirigente fuoriuscito dai Dem a cospargersi il capo di cenere: “Giorni di stress e tensione emotiva hanno generato una ingiustificata e totalmente non voluta iperbole in un audio privato. Parole che ho usato per rappresentare il modo in cui, dopo aver governato la Regione per il centrosinistra con dignità e onore, siamo stati trattati. Sono profondamente dispiaciuto per l’accaduto e mi scuso con chi può essersi sentito offeso”.
Ma Giuseppe Conte non ha alcuna voglia di lasciar correre. E in serata rincara: “Pittella, che è di una famiglia che governa da 40 anni, in quell’audio non parla mai di progetti. Parla di pacchetti di voti che vengono spostati e di elettori trattati come merce”. Per poi provocare: “Caro Calenda, non era questa la politica che ti faceva orrore?”. Immediata la replica del leader di Azione: “La politica che mi fa orrore rimane sempre la stessa Giuseppe: i soldi buttati nel superbonus, il proputinismo, la promessa di sussidi. Ma ti riconosco di aver domato il Pd, obbligandolo ai tuoi veti”.
Botte da orbi che fanno la felicità del centrodestra, fino a un mese fa in difficoltà e adesso sicuro di vincere. “In Basilicata il campo largo l’abbiamo fatto noi”, si esalta il capogruppo di FI al Senato, Maurizio Gasparri. Anche se, a ben guardare, la virata di Iv e Azione sta suscitando parecchi malumori pure nella coalizione di Bardi, che proprio sulla “mala gestione” di Pittella, specie della sanità, fondò cinque anni fa la campagna elettorale con cui per la prima volta strappò la regione ai progressisti.
Fatto sta che mentre di là si esulta, di qua si fa l’inventario delle macerie. E, per riattaccare i cocci, si prova a scaricare la colpa sui “traditori” dell’alleanza. “Non è stato uno spettacolo edificante”, commenta da sinistra il dem Gianni Cuperlo. “Mi sono stupito nel vedere Renzi e Calenda che appoggiano Bardi, soprattutto Carlo. Se scegli un campo quello deve essere il tuo campo”. Tuttavia i cattolici e riformisti hanno un’idea diversa, segno di un Pd in ebollizione. “Schlein deve confrontarsi innanzitutto con Conte, cosa non semplice per uno che fa fatica a scegliere tra Biden e Trump”, storce la bocca Rosy Bindi nel salotto tv di Lilli Gruber. “Il problema è uno solo: il nostro elettorato, che è di centrosinistra. Poi, dopo, dovrebbe parlare anche con Calenda”. Perché, avvisa Piero Fassino, “non si costruisce uno schieramento largo se ciascuno pretende di porre condizioni. È quanto accaduto in Basilicata, dove il Pd ha lavorato per unire tutte le forze, mentre altri, in particolare il M5S, hanno imposto costantemente veti”, spiega l’ultimo segretario dei Ds. “Ora, se tu metti veti stringi il campo, e se lo stringi riduci le tue possibilità di vittoria spingendo quelli che escludi verso altre sponde”. Sono le due letture, opposte, che agitano il principale partito di opposizione. Con le quali, dopo le Europee, Elly Schlein sarà chiamata a fare i conti.