Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Verderami
Le Amministrative sono state una parentesi che non avrà riflessi sul quadro politico nazionale né inciderà sulle strategie dei partiti in questo finale di legislatura. Certo, secondo gli exit poll il voto sembra rilanciare il vecchio schema bipolare e riproporre così la sfida ventennale tra centrosinistra e centrodestra, con M5S messo ai margini. Ma il sistema elettorale a doppio turno per i sindaci non è contemplato per le Politiche. Non c’è dubbio che i Cinquestelle vengano bocciati clamorosamente a Genova e a Parma dall’ex Pizzarotti, ma un tempo accadeva a Berlusconi di subire defaillance nel voto locale, tranne poi riscattarsi.
Insomma il risultato amministrativo ha un valore limitato. Al test peraltro si è giunti dopo una campagna elettorale anestetizzata dal patto che le quattro maggiori forze avevano stretto sulla riforma del sistema di voto: una sorta di effetto cloroformio era calato sul Parlamento e aveva portato a una tregua tra i grandi partiti, nonostante l’approssimarsi delle urne. Renzi, per esempio, aveva dato disposizione al Pd di non infierire contro la giunta grillina di Torino dopo i gravi fatti di piazza San Carlo, la sera della finale di Champions: con M5S aveva in ballo l’intesa sul proporzionale.
Svanito il patto, svanirà anche l’effetto cloroformio. Anzi, i primi effetti di un risveglio dalla sedazione si sono già registrati. Al di là del reciproco scambio di accuse tra Democratici e grillini sulle responsabilità del fallimento della riforma elettorale, è stato indicativo come — nel giorno in cui l’accordo è saltato — Salvini abbia ripreso a martellare il governo sul tema dell’immigrazione, mettendo nel mirino per la prima volta — insieme a Renzi, la Pinotti, la Boschi e la Boldrini — anche il neo titolare del Viminale: «Dal primo gennaio di quest’anno a oggi gli sbarchi sono aumentati del 60%. Minniti ha rotto le palle».
Si era rotto il cessate il fuoco, appunto. E di qui in avanti sarà un crescendo. Lo si vedrà subito in Parlamento, dove Renzi sarà costretto nelle prossime due settimane a gestire passaggi che, per ragioni diverse, avrebbe voluto evitare. A partire dalla fiducia sulla riforma del processo penale, che con ogni probabilità impegnerà la Camera. Il leader del Pd ha tentato di scaricare mediaticamente su Alfano la difficoltà di votare il provvedimento di Orlando, ma se potesse anche lui lo eviterebbe. Basta vedere cos’è accaduto sabato a Rimini — a un convegno organizzato dalle Camere penali — dove il responsabile democrat per la giustizia, Ermini, ha fatto a gara con il ministro centrista Costa a chi criticava di più la riforma del Guardasigilli.
Il fatto è che Renzi — per tentare di tenere compatto il gruppo del Pd alla Camera in vista delle votazioni sulla legge elettorale — aveva preso un impegno con Orlando, garantendogli la fiducia sulla sua riforma. Ora, senza il nuovo sistema di voto (e senza elezioni anticipate) dovrà tener fede alla contropartita sebbene più volte abbia mosso obiezioni al progetto, con espressioni più caustiche dei centristi.
Di legge elettorale, forse, si tornerà a parlare dopo l’estate. Il rischio per Berlusconi è che lo schema attorno al quale si discuterà non sarà più il proporzionale, ma una modifica del Consultellum, propedeutico per Renzi nel tentare un accordo alla sua sinistra con Pisapia. Per di più il risultato di Genova — con l’exploit del candidato di centrodestra Bucci — alimenta le aspettative di quanti, in Forza Italia, mirano a stringere un’alleanza elettorale con la Lega per le Politiche, premendo su Berlusconi per arrivare all’obiettivo.
La rinascita del bipolarismo, l’abitudine dell’elettorato alla sfida tra i due vecchi blocchi, potrebbe però essere un effetto ottico distorto quantomeno dal sistema di voto. La sfida persa dal grillismo segnala di certo delle difficoltà del Movimento, tuttavia non cambia lo scenario a livello nazionale. E la battaglia si giocherà come al solito in Parlamento, dove i Cinquestelle — cessato l’effetto cloroformio — si preparano a indurire la loro opposizione al Pd, che è considerato l’avversario da battere quando si andrà a votare per le Politiche.
Un’occasione per alzare la tensione, paradossalmente, gliela sta per offrire proprio Renzi. Fra due settimane la Camera voterà il varo definitivo della Commissione d’inchiesta sulle banche, voluta proprio dal segretario democrat. Più volte dal partito e dal governo era stata suggerita maggiore prudenza a Renzi, per evitare che la Commissione venisse usata come uno strumento di battaglia politica. Il timore è così concreto che ieri nello stato maggiore democrat c’era chi sudava freddo pensando a quanto potrà accadere: «Ci sarà da penare»…